Da ragazzo ho pianto regolare. Anzi non ricordo d’aver pianto. Perché avrei dovuto piangere? Non facevo capricci, ero assennato. In famiglia mi volevano bene. La maestra pure. Poi al liceo mi innamorai di Lucilla. Era bella, bellissima. Anche Lunetta era bella, bellissima. Mi innamorai anche di lei. Non glielo dissi mai. Né a Lucilla, né a Lunetta. Non lo dissi mai a nessuno. Ero convinto d’essere il brutto anatroccolo della favola. All’università continuai ad essere innamorato di Lucilla. E anche di Lunetta. Una sera, solo a Catania. Solo con una bottiglietta di brandy stock 84. Sentii i tentacoli della tristezza avvinghiare il mio cuore. Cominciai a bere. Trovai il coraggio. Presi carta e penna e scrissi: “Lucilla, sono ubriaco ma ti amo”. Bevevo e scrivevo, scrivevo e bevevo. Pensai anche a Lunetta. Cominciai a confondermi. Scrissi anche: “Lunetta, sono ubriaco ma ti amo”. Conclusi la lettera col dubbio amletico: “Chi amo Lucilla o Lunetta?”. Il giorno dopo feci due copie della lettera e la spedii a Lucilla e a Lunetta. Non ottenni risposta alcuna. Mai! Poi Lucilla e Lunetta si sposarono con due giovani ricchi e belli, perché i ricchi sono ricchi e anche belli. Non provai niente. Tristezza, niente! Gelosia, niente! Rammarico, niente! Mi misi a piangere. Piansi ininterrottamente per un’ora. Feci una pozza d’acqua. Mi toccò asciugarla. Il giorno dopo piansi. Per un’ora. Come il giorno prima. E anche il giorno successivo. E il successivo ancora. Piangevo ogni giorno. Per un’ora esatta. Sessanta minuti precisi. La cosa diventò un poco fastidiosa. Asciugare ogni giorno l’acqua. Decisi allora di trasferirmi a Venezia. A Venezia ci sono i canali e non c’è problema d’asciugare il laghetto delle mie lacrime. Andai su un rio terrà proprio a fianco della Ca’ d’Oro, mi sedetti con le gambe penzoloni sul Canal Grande e piansi. Comodo. Anche bello. Ci provai gusto. Così ogni giorno avevo il mio appuntamento con la Ca’ d’Oro e con le mie lacrime. Passarono degli anni. Gli astanti, là attorno, s’abituarono, ero diventato familiare. Un giorno ero là con le mie lacrime, arrivò una bambina con le sue lacrime e si sedette anche lei con le gambe a penzoloni sul Canal Grande. Le chiesi: “Perché piangi?” “Piango perché tu piangi.” “Ma ti pare un motivo sufficiente?” “E tu, allora, perché piangi ogni giorno?” “Come perché piango? Lo sanno tutti perché piango.” “Io non lo so, me lo vuoi dire, per piacere?” “Piango perché sono buono e sfortunato e ho una storia triste.” “Me la racconti?” “La mia storia è triste assai, devi sapere che… devi sapere che…” Quale era la mia storia? Nulla, non ricordavo proprio nulla. Possibile che non ricordassi proprio nulla?! Rimasi a bocca aperta. Ad un tratto le lacrime cessarono. Anche la bambina rimase a bocca aperta. La guardai negli occhi e scoppiai a ridere: “Per anni ho pianto e non ricordo perché ho pianto”. E ridevo, e ridevo. Anche la bambina rideva, rideva. Non piansi più. Dopo un po’ tornai al mio paese. Ora che non piangevo più, che ci facevo a Venezia?!
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