Il giardino in autunno sorprende sempre. I verdi virano verso colori forti, infiammati. E spuntano le bacche, che in altre stagioni non esistono. Intorno, in questi giorni, non c’è limpidezza e nuvole gonfie di umidità avvolgono le case e gli alberi. Mentre cammino, tutto si mischia, luci opalescenti, rumori ovattati e pensieri. A volte ne emerge uno da un limbo sotterraneo, si fa strada e attraversa come un lampo la mente affollata. Mi scuote un brivido, breve ma intenso. Un riflesso automatico di qualche angoscia sopita e riemersa, che neppure riesco ad individuare. ‘È passata la morte’. Una frase detta e ripetuta da tanti per esorcizzare qualcosa di innominabile, che non abita lì, in quel tremito temporaneo ma è latente nelle profondità dell’essere. Spesso schivata per un pelo, ci troviamo a raccontare con dovizia di particolari la nostra disavventura e il nostro incontro con la morte. E se siamo qui, ci troviamo a riferire quella di altri, oppure a tacere e lasciare il suo ricordo doloroso al nostro privato e intimo spazio interiore. In questo caso volevo riflettere su quanto ultimamente riportato dalla televisione e dalla rete sull’annientamento sistematico del popolo curdo, partendo da alcune immagini che mi hanno colpito. Le donne curde, alcune in abiti tradizionali, altre in jeans con i capelli raccolti e senza velo, circondano la bara colorata e piena di fiori di Hevrin Khalaf. Il dolore è grande. Lei, 35 anni, laureata in ingegneria civile, si era da sempre battuta per i diritti delle donne e la parità di genere. Era diventata leader del Partito del Futuro, un nome denso di significato, in quest’epoca in cui conta solo l’attimo fuggente, e con un concetto base: la pacificazione culturale tra i diversi popoli ed etnie presenti nel Kurdistan, territorio esteso tra Siria, Iran, Iraq e Turchia. Hevrin era cosciente di essere costantemente in pericolo e lo metteva in conto in ogni momento, come ogni donna e uomo del popolo curdo. Milioni di curdi vivono in una zona ibrida e non hanno uno stato nazionale, come invece era stato previsto dagli accordi di pace alla fine della prima guerra mondiale. La Turchia non ha mai rispettato quanto fu stabilito allora. Hevrin Khalaf viaggiava a bordo di un fuoristrada con l’autista verso una città del nord est della Siria. Pochi giorni prima la donna aveva dichiarato pubblicamente che la Turchia aveva tollerato lo stato islamico al suo confine ma ora che si profilava la costruzione di uno stato democratico curdo, minacciava di sopprimerlo. Osservando la mappa su google, l’autostrada M4 attraversa il nord della Siria dall’Iraq fino a Latakia, città nei cui pressi sorge la base aerea russa di Hmeimim, passando per Aleppo. È una rotta commerciale strategica. E lì, ad un certo punto, l’auto di Hevrin fu costretta a fermarsi, bloccata da miliziani islamici filo-turchi. La ragazza non ebbe scampo. Trascinata fuori dall’auto, violentata e lapidata. Il suo autista ucciso a colpi d’arma da fuoco. Per la regia di soggetti interessati alla guerra, allo sterminio di un popolo, alla sottomissione delle sue donne. Soggetti che hanno grandi interessi economici nella regione. Alcuni giorni prima gli Stati Uniti, che avevano avuto una presenza militare importante, lasciavano sguarnita l’area dando campo libero all’esercito del presidente turco Erdogan, che si è sentito finalmente autorizzato a usare armi e bombardamenti anche contro i civili. Hevrin viene pianta indistintamente da tutto il suo popolo. È stata e rimarrà un simbolo forte contro il genocidio che sta avvenendo mentre il mondo si gira dall’altra parte. Pochi anni fa le donne curde hanno combattuto insieme agli uomini contro le roccaforti dell’isis. Hanno ripreso città e villaggi dove sventolavano le bandiere nere, hanno arrestato i terroristi dello stato islamico. Ancora oggi sono in prima linea, nonostante le immense difficoltà. Sono mogli e madri e hanno a cuore la loro gente. Sanno che rischiano la morte ogni giorno proprio come Hevrin Khalaf. Molte di loro sono state uccise, nel silenzio generale del mondo intero. Come noi, temono la tortura e la violenza ma sono consapevoli che tacere ed essere sottomesse sarebbe la fine di un sogno. Quello di un luogo dove sentirsi libere e in pace. Un giorno, quando le cose andranno bene, ti guarderai indietro e ti sentirai orgoglioso di non esserti arreso. Hevrin Khalaf.
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