Ci fu un anno, ovviamente non ricordo quale, che mi misi in testa di fare una scommessa. Prima di tutto con me stesso, e poi con Carlo Blangiforti. Essa consisteva nell’attendere che la redazione di Operaincerta decidesse (tra una torta salata troppo salata e ciambelle che definire tuppuse era eufemistico) il tema per il mensile, e poi trovare un collegamento con quel tema pescando tra le canzoni di Paolo Conte. Era successo infatti che in un numero, ovviamente non ricordo quale, del nostro mensile, m’ero esibito nella analisi di un tema, ovviamente non ricordo quale, saccheggiando (epperò sempre citandolo) nella poetica dell’avvocato astigiano. Carlo mi provocò, sostenendo che non avrei potuto farlo per più di uno o due numeri. E invece io non solo accettai la sfida, ma la vinsi con la formula, tipicamente statunitense, della “manifesta superiorità”. Scrissi una ventina di articoli quell’anno per Operaincerta, e per almeno dodici utilizzai il collegamento con Paolo Conte, il maggiore poeta italiano degli ultimi cinquanta anni. Una bella sfida, una bella avventura. Datata: venti anni. E io li sento tutti. Da cosa mi accorgo che sono passati vent’anni se è vero com’è vero che i capelli bianchi li avevo allora e bianchi li ho adesso? Me ne accorgo perché l’infiammazione al nervo sciatico è diventata cronica? Me ne accorgo perché salire da Ibla a Ragusa superiore a piedi impiegavo mezz’ora e adesso impiego venti minuti (in motocicletta)? Certo. Per tutto questo. Ma soprattutto me ne accorgo perché per scrivere queste trenta righe ho impiegato trenta minuti e senza mai trovare un riferimento a Paolo Conte. Anzi. Uno l’avrei anche trovato. Ed era visibilissimo: i baffi del più grande poeta italiano degli ultimi cinquanta anni (ma l’ho già scritto?) sono bianchi e spelacchiati. Non sarà più un diavolo rosso. Riguardo Operaincerta fu pubblicazione di alto profilo e grande divertimento.
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