“E siamo ancora qua!”, cantava il Sig. Rossi più nazionale di sempre.
Eh, già. Ancora qua, diversi anni dopo l’ultima volta insieme, per celebrare il ventennale di una bella avventura editoriale e di una esperienza formativa importante per chi, come me, sognava (senza però riuscirci) di fare della scrittura giornalistica il proprio mestiere.
Ne sono passate da allora di ‘opere incerte' (nel senso latino del termine) nelle nostre vite e tante cose sono successe, dall’ultimo articolo inviato, che ci hanno trasformato.
Basti pensare al Covid, per citare solo la più recente. Ha cambiato la nostra visuale, ha segnato un punto zero, uno spartiacque, nel nostro modo di vivere e di interagire con gli altri, portandoci a scoprire nuove potenzialità funzionali (Smart Working, Dad,etc) ma accrescendo al contempo le nostre sedimentate ansie, diffidenze e inadattabilità personali. Ci avevano detto che sarebbe andato tutto bene ma, al netto di tutto, Umanità (ulteriormente) incattivita compresa, così non sembrerebbe.
È vero, il mondo ha sempre conosciuto fasi di trasformazione. Ma il ritmo dei cambiamenti cui assistiamo oggi, in ogni ambito, non conosce precedenti nella storia e incide significativamente sul nostro modo di vivere, lavorare e relazionarci. In passato occorrevano ‘millenni’ perché qualcosa di ‘insolito’ si diffondesse, generasse cambiamenti e diventasse, poi, patrimonio generale. Negli ultimi decenni, invece, i tempi sembrano essersi accorciati, il cambiamento viaggia oggi 10 volte più veloce e con un impatto 3000 volte maggiore.
Vent’anni fa in pochissimi usavano internet, dieci anni fa Twitter non esisteva. Oggi, anche le più alte cariche istituzionali comunicano principalmente attraverso canali social e il cambiamento è divenuto una costante.
Ciò richiede, però, una capacità di adattamento sempre aggiornata, poiché il mondo fondato sulla duplicazione fedele di quello che funzionava in passato sta lasciando adesso il posto a uno nuovo, incentrato sulla capacità di risposta al cambiamento. Non esiste più una realtà in cui si comincia a conoscere il mondo attraverso schemi e codici sociali che (si pensa) resteranno immutati. Oggi è diventato necessario adeguarsi continuamente, e fin dalla più tenera età, ai cambiamenti non solo tecnologici, ma anche culturali e mentali.
Fino a non molte generazioni fa, lo sforzo maggiore era quello di contrastare le malattie, evitare di morire di fame o sopravvivere alla guerra. Oggi, sebbene siamo ancora lontani dall’avere debellato completamente il problema della fame, delle malattie o delle guerre, siamo consapevoli che la causa di tali sventure non è un destino ineluttabile quanto piuttosto il frutto di errori dell’agire umano. L’epoca che stiamo attraversando ci invita alla cooperazione, a non voltare lo sguardo dall’altra parte. Ci obbliga, moralmente, a concepire il mondo come un organismo vivente, la cui salute e prosperità dipendono dal funzionamento armonico di ogni singolo organo. Quello che si è verificato nel corso di questi ultimi anni e che stiamo tuttora vivendo è, in sostanza, un cambio di paradigma. Di traiettoria.
Si è cominciato a puntare di più sui giovani e sulla scuola, con un’attenzione mirata al settore educativo come ambito funzionale e costitutivo della società che si vuole costruire nel futuro. Con una fiducia crescente nella formazione che trasformi, nell’istruzione che si fondi sull’empatia, che permetta alle nuove generazioni di “sentire l’altro”, di comprenderne i bisogni, spingendole a immaginare strategie efficaci per realizzare cambiamenti sociali positivi, nell’ottica di un mondo in cui “everyone is a change maker” o, per dirla (come esigono i tempi politici attuali) in stile ‘made in italy’, in cui “ognuno sia attore del cambiamento”.
Le battaglie a favore dello sviluppo sostenibile e contro il cambiamento climatico della studentessa svedese Greta Thunberg sono state e sono ancora oggi un felice esempio di investimento educativo attivo in tal senso. Perché la pressione mediatica di milioni di giovani che si ispirano a Greta Thunberg e chiedono che venga rispettato il loro diritto ad avere un futuro, può rivestire un ruolo importante nell’attenzione che la politica deve rivolgere a certe tematiche.
In questi anni siamo stati testimoni di varie rivoluzioni che hanno cambiato la società: abbiamo assistito all’ascesa del populismo in politica (penso alla vittoria del ‘Movimento 5 Stelle' in Italia), all’invasione degli smartphones e dei canali ‘Social’ (con un’influenza negativa non più arginabile sulla nostra privacy), agli enormi passi in avanti nel campo dei diritti sull’identità di genere, all’accelerazione del progresso tecnologico specialmente nel campo dell’automazione e dell’intelligenza artificiale.
Ma noi, nello specifico, come siamo cambiati?
Solitamente, tendiamo a pensare di noi stessi che non cambieremo molto nel corso della nostra esistenza ma così non è e a dimostrarlo ci ha pensato un filantropo e psicologo americano: il Dott. Dan Gilbert.
In 15 anni di ricerche, Gilbert ha preso in esame preferenze, valori e personalità di 1.900 adulti tra i 18 e i 68 anni. Ad alcuni è stato chiesto di predire quanto sarebbero cambiati nel decennio a venire, ad altri di riflettere sui cambiamenti avvenuti nel decennio passato. Un gruppo ha riferito di aspettarsi ben pochi cambiamenti, mentre un altro ne ha elencati innumerevoli. Elementi ritenuti un tempo immutabili sono radicalmente mutati: il tipo di vacanze desiderate, il genere musicale preferito, il carattere delle persone che si preferisce frequentare.
Gilbert ha compreso che i cambiamenti di atteggiamento più impetuosi tendono ad avvenire in media tra i 18 e i 20 anni. Quando si è giovani, il passato è fatto di poco tempo e di esperienze ridotte perciò la vita di una persona giovane è in costante evoluzione. Ma anche negli “enta e negli “anta” si può cambiare intensamente, proprio in ragione del fatto che il cambiamento è l’unica costante in ogni ambiente e ad ogni età.
Ritornando per un attimo all’anno zero degli ultimi anni, cioè al 2020, nel giro di pochi mesi è avvenuto un netto cambiamento nel campo dell’educazione e in quello lavorativo. Dai bambini delle elementari, agli studenti universitari e alla stragrande maggioranza delle categorie di lavoratori, quasi tutti sono stati costretti a misurarsi con la conoscenza digitale. Le piattaforme online (che hanno registrato un tasso di crescita del 400-600% durante i primi mesi della pandemia) hanno contribuito a creare nuove opportunità di apprendimento e di carriera per chiunque avesse a disposizione una connessione internet, agendo sulla separazione tra luogo fisico e studio o produttività in modo del tutto innovativo.
Le strabilianti quantità di dati generati attraverso il gran numero di piattaforme esistenti, dai motori di ricerca ai social media, sono uno dei fattori chiave del processo di cambiamento tuttora in atto perché questi dati vengono sfruttati per sviluppare gradualmente macchine avanzate e intelligenze artificiali sofisticate che possono essere utilizzate per automatizzare sempre più mansioni tra quelle che le persone svolgono al giorno d’oggi.
Per capirci: questi sistemi di intelligenza artificiale non cercano di imitare ciò che fa l’essere umano ma usano semplicemente la potenza di elaborazione grezza e le enormi quantità di dati per svolgere il lavoro meglio e più velocemente di quanto un essere umano potrebbe mai fare, con l’indubbio vantaggio che l’automazione potrebbe portare domani a molti più lavori invece che a sempre meno essere umani, riducendo la necessità di svolgere lavori noiosi e ripetitivi e dandoci la libertà di concentrarci su attività più creative e interessanti, sia all’interno che all’esterno dei nostri luoghi di lavoro.
E a noi piace questo cambiamento? Siamo sufficientemente attrezzati? La verità è che non ci sono risposte facili, solo incertezza.
Ci aspettano anni sempre più frenetici e sarebbe opportuno attrezzarsi adeguatamente per pianificare nel breve periodo perché oltre a cambiare noi, cambia più rapidamente anche ciò che sta attorno a noi.
“Chissà quante persone potremo essere stati tra 10 anni”, dovremmo abituarci a pensare.
Probabilmente, dobbiamo solo imparare a rimanere elastici e disponibili perché di fronte a un futuro che andrà avanti a prescindere, saremo costretti a correre molto velocemente per stargli al passo. Senza dimenticare, tuttavia, la nostra umanità, la nostra capacità di adattamento, perché questa sarà il nostro unico, vero, superpotere di fronte al cambiamento costante.
E conservando, infine, “le quattro C” della nostra vita: Criticità (nel senso di pensiero critico), Comunicazione, Collaborazione e Creatività. Solo così, saremo in grado di rimanere, cambiando, sempre noi stessi.
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