Un po’ come le due maschere del teatro latino, tragica e comica! È così che l’uomo Ciccio Busacca mi viene presentato da chi l’ha conosciuto personalmente ed ha avuto modo di frequentarlo anche dopo una delle sue memorabili esibizioni da cantastorie. Mi raccontano e ho anche letto in qualche articolo che costituisce testimonianza diretta, che nei momenti conviviali, che si consumavano nel dopo evento o durante i pomeriggi in attesa degli spettacoli, il Ciccio Busacca delle storie tristi e delittuose, si trasformava in una sorta di giullare brioso che sapeva intrattenere con un repertorio allegro e scanzonato. Guardando attentamente, decine di servizi e documentari con le interviste e le esibizioni di questo portento siciliano, fin da subito mi ha rapito “il suo sguardo”: occhi piccoli, azzurri, pungenti e profondi in cui si possono scorgere tutte le lotte, la sofferenza e la miseria umana che ha cantato nelle piazze. Definirei, quegli occhi due spilli, due catalizzatori che ghermiscono e che per la loro potenza riuscivano a tenere imbambolata una folla di migliaia di persone accalcata nelle piazze dei paesi più arroccati dell’entroterra siciliano, in un silenzio necessario quanto eloquente. Si è esibito in Sicilia dagli anni ’50 alla fine degli anni ’60 e lui stesso ha affermato, che l’opera dei cantastorie si è esaurita anche a causa della modernità e per via del rumore delle automobili e dei motorini che rompevano il silenzio nelle piazze. Era il 1951, dapprima sostenuto solo dalla moglie Rosa e poi dalla sua famiglia di origine, Ciccio trova in suo fratello Antonino detto Nino, il sostegno più grande e la continuità della sua opera di cantastorie. Nino Busacca definito un “eccellente cantastorie” cantò molte delle storie scritte dal fratello e riuscì a lavorare nelle piazze siciliane anche quando Ciccio, aveva ormai lasciato la Sicilia per i tanti ostacoli che la malavita pose alla sua attività.

  • Ciccio tu sei veramente un bravissimo cantastorie, un grande cantastorie, però sai certe cose in una piazza non devi dirle! Tu ti metti troppo in pericolo, da un momento all’altro ti può succedere qualche disgrazia!
  • Mi volete ammazzare? Come avete fatto con Turiddu Carnevale?
  • Ma no Ciccio, ma che cosa dici, noi ti vogliamo bene, per questo ti stiamo avvertendo! Ma come con tante canzoni belle che abbiamo in Sicilia, Ciuri ciuri, Si maritau Rosa, Vitti na crozza, devi cantare certe cose, parlare di mafia, di Turiddu Carnevale, Il treno del sole, ma chi ti ci porta? Cerca di cantare canzoni allegre, canzoni belle, fare divertire il popolo!
  • Per me le canzoni importanti sono queste, svegliare il popolo, aprire gli occhi al popolo! Se mi volete ammazzare, sapete dove abito, sapete dove trovarmi, ma vi avverto che quando avete ammazzato me, non avete concluso niente perché ci sono sei figli miei, che continueranno a fare quello che lascio. Non mi hanno ammazzato, però mi hanno fatto smettere di cantare, negandomi tutti i permessi, in tutte le piazze della Sicilia, Puglia e Calabria.

La sua opera di denuncia civile, lo condannò senza sentenza a quindici anni lontano dalla sua terra. Lontano dalla sua Sicilia fece nuove esperienze, come recitare per ben otto anni con il grande Dario Fo e nel film Fontamara del regista Carlo Lizzani, non poche furono anche le sue presenze in RAI. Sbalordisce apprendere che Ciccio Busacca fosse totalmente analfabeta fino all’età di circa 25 anni e che prese in mano una penna per poter scrivere all’età di circa 30 anni; si dice anche che non andò mai un’ora a scuola. Tutte le storie che cantava, le aveva archiviate nella sua memoria e quando ne componeva qualcuna nuova, affidava ad altri la trascrizione del testo. Nato nel 1925, iniziò a lavorare da bambino insieme ai suoi fratelli e fin da piccolissimo si lasciava incantare dai cantastorie del tempo come Orazio Strano e Gaetano Grasso.  All’inizio della sua attività con il fratello Nino, si spostavano di paese in paese con le biciclette: uno trasportava la chitarra e l’altoparlante e l’altro la valigia con le canzoni.

Una storia cantata durava un’ora e mezza o anche più di due ore ad un certo punto Ciccio interrompeva lo spettacolo:

Passerà mio fratello in mezzo a voi, ma non pensate che passa con il piattino a chiedere l’elemosina, no! Passerà solo a vendere la storia: a chi piace la compra a chi non piace mille volte grazie per avermi ascoltato! La storia costa 20 lire, se qualcuno di voi non ha i soldi in tasca, può chiedere la storia, mio fratello ha l’ordine di regalare la storia a chi non ha soldi!

Tornando ai suoi occhi penetranti, in uno dei documentari che ho visionato, con sguardo quasi spiritato, testimonianza della sofferenza provata mentre cantava, raccontava:

Io Turiddu Carnevale lo vedevo morto, era una specie di pellicola che mi passava davanti agli occhi, era un cinema, il cinema che vedevo io, lo trasmettevo agli altri! Mi ricordo bambini che si pisciavano addosso per non si allontanare due minuti, si pisciavano là, ma non si allontanavano!

Concludeva questo racconto commosso e nonostante la cruda e reale scena descritta, ho provato tenerezza tanto per l’uomo Ciccio Busacca, che per quei bambini che nessun altro svago conoscevano se non quel momento di solenne silenzio rotto dal canto vibrante di un uomo e dalla sua chitarra; in piedi sul tetto della sua auto che fungeva da palcoscenico, con un cartellone suddiviso in quadri, segnati uno per uno e raffiguranti i momenti più importanti della storia, sfidando i mafiosi nascosti agli angoli delle strade, cantava capace di reggere da solo e quasi ininterrottamente anche due ore e mezza di spettacolo. Attraverso la potenza del suo racconto, riesco a vedere i volti solcati dal sole ole lacrime di commozione di donne e di uomini, che al tempo non conoscevano la televisione, non sapevano leggere, non sapevano scrivere e vivevano solo di fatica e stenti. Il cantastorie rappresentava per loro il comunicatore di notizie, l’unico forse che gli era dato conoscere, colui che svolgeva un mestiere con un ruolo sociale e culturale ben preciso, armato di sola voce, memoria e tanto coraggio.

Il repertorio cantato dai fratelli Busacca era fatto da storie basate su quelle delle raccolte antiche, da storie inventate dallo stesso Ciccio e a partire dal 1954 si arricchisce grazie al sodalizio con il poeta bagherese Ignazio Buttitta. Dopo averlo ammirato completamente rapito dalle sue interpretazioni, Buttitta le chiese:

  • Ciccio ma seio scrivo una storia per te, tu me la canti?

L’omicidio del sindacalista Salvatore Carnevale, ucciso a Sciara (PA) il 16maggio 1955, fornì a Buttitta il soggetto per il componimento che suggellò il loro legame e grandi furono i traguardi che il “Lamentu pi la morti di Turiddu Carnevali”, regalò a Ciccio Busacca. Il tema politico si aggiunse così al suo solito repertorio.

Nel 1956 al terzo Convegno della Cultura Popolare a Livorno, fu l’ultimo ad esibirsi, incredulo davanti a quella folla stese il suo cartellone su Turiddu Carnevale e chiuse quell’importante incontro; Ciccio Busacca riscosse un grande successo, applausi lunghissimi e tante lacrime di commozione. Carlo Levi lo raggiunse sul palco dicendogli:

  • Ciccio ho sentito la cosa più bella del mondo, benedetta tutta la madre che ti portò in grembo.

Tutti i giornali scrissero della grande prestazione artistica di Ciccio Busacca, confermandone bravura e talento, l’Italia tutta lo applaudiva. Tra gli importanti connubi artistici di Ciccio Busacca, anche quello con la grande Rosa Balistreri, a cui era legato anche da una profonda amicizia. 

L’avvertimento che Ciccio Busacca fece ai mafiosi al tempo in cui lo “avvisarono” dei rischi che stava correndo, grazie ai suoi consanguinei si attuò; dapprima grazie al lavoro e alla bravura del fratello Nino, poi adattandosi anche ai cambiamenti sociali, grazie alle figlie Concetta e Pina, sue compagne anche a teatro negli anni accanto a Dario Fo. Particolare importanza ebbe il costante lavoro del figlio di Ciccio, Paolo, che fin dalla prima infanzia collaborò con il padre e lo zio. Oggi la nipote di Nino Busacca, Francesca con dedizione, impegno e continua ricerca nel ruolo di presidente dell’Associazione Culturale Cantastorie Busacca che ha sede a Paternò (CT), paese natale del cantastorie e della sua famiglia, preserva la memoria dei cantastorie e ne promuove la cultura. Le rivolgo qualche domanda per addentrarci ancora nella storia dei Busacca, anche di oggi.

Francesca Busacca…

Sono la nipote di Ciccio e Nino, figlia dell’unico erede maschio di Nino Busacca, nel 2017 è stata fondata l’Associazione Culturale Cantastorie Busacca a Paternò (CT), nella terra dei cantastorie, che si occupa del patrimonio di famiglia, di recupero e promozione culturale con particolare attenzione anche agli altri cantastorie siciliani. Sono Presidente di questa associazione e mi avvalgo della collaborazione del professore Mauro Geraci, docente di antropologia presso l’Università di Messina, studioso ma anche continuatore e interprete dei poeti – cantastorie siciliani. Tra le tante attività che svolgiamo insieme anche quella di cantastorie. Moltissimi sono i partner dell’associazione l’Istituto Centrale Beni Sonori, Fondazione Ignazio Buttitta, Archivio Centrale dello Stato, Ministero per i beni e le attività culturali, Museo Antonio Pasqualino e tanti altri ancora. L’obbiettivo principale di oggi per noi è creare una risorsa per la conservazione e la diffusione dei cantastorie della nostra terra.  Nel nostro sito troverete tutte le informazioni sui progetti, gli eventi, la nostra storia …

https://www.cantastoriebusacca.it

In uno dei tanti documentari a lui dedicati, lo stesso Ciccio Busacca racconta di quando all’età di 25 anni comunicò alla sua famiglia di origine di voler fare il cantastorie e di come la notizia fu accolta, era il 1950 circa. I genitori lo volevano dissuadere, anche perché al tempo i cantastorie spesso erano paralitici, storpi, zoppi o ciechi ed erano soliti passare con un piattino tra il pubblico per recuperare del danaro. Ciccio, rispose con fermezza che ormai aveva deciso e comunicò che già da oltre un mese faceva il cantastorie e quasi sfidandoli li invitò ad andarlo a vedere la domenica successiva in piazza a Paternò, cosa accadde quella domenica?

In piazza accadde un evento che lasciò il segno nella famiglia Busacca; i familiari si recarono all’appuntamento ma per la vergogna si nascosero tra la folla che via via riempiva la piazza sempre di più. Ciccio nel finale della sua storia, interrompe improvvisamente il racconto e invita il pubblico a comprare il libretto se interessati a sapere come si sarebbe svolto il finale della storia. Gli spettatori decisero di comprare i libretti e Busacca mentre era impegnato nella vendita, tra il pubblico si ritrovò i parenti che si confondevano in mezzo alla folla e che sbalorditi da quello che stava accadendo gli diedero un aiuto nella gestione delle vendite. Fu da quel momento che iniziò un’impresa a conduzione familiare.

Cosa resta del mestiere itinerante che Ciccio e Nino Busacca, iniziarono passando da paese in paese in bicicletta?

Del mestiere dei fratelli Busacca rimane innanzitutto il ricordo e le innumerevoli testimonianze dirette che ci arrivano da chi ha vissuto l’era dei cantastorie, sono inoltre tanti i cimeli che appassionati ed estimatori ci inviano.

Quali sono state le caratteristiche che accomunavano i fratelli Busacca e in cosa erano diversi?

Molteplici sono state le caratteristiche che negli anni hanno accomunato i fratelli Ciccio e Nino Busacca, una delle tante fu quella del racconto attraverso l’oralità, entrambi riuscivano a trasmettere al pubblico la stessa emozione; la loro mimica, l’espressione facciale, la gestualità e il modo di declamare accostato alla morale di ogni storia raccontata, rimaneva incisa nella memoria del pubblico vigile e sensibile, che restava in attesa del prossimo appuntamento con il poeta cantastorie.

In cosa si differenziano le loro carriere?

Sicuramente la carriera di Nino nell’ambito dell’attività di cantastorie fu più lunga di quella del fratello Ciccio, che già negli anni ’70 lascia la propria Sicilia, seppur costretto da una politica che non lo supporta e dalla mafia che si fa sempre più insistente e che gli vieta di esercitare la sua arte nella propria isola e a supporto del suo popolo. Nino fino agli anni 2000 circa, continuava ad esibirsi ancora nei teatri, nel 2002 presentò il volume inedito del suo carissimo amico, il professore Antonio Tomasello, in arte “Ninu u prufissuri”, un volume dal titolo “La vita di Cicciu Busacca”. Nino Busacca contribuì alla realizzazione del volume fornendo informazioni familiari e contenuti che si possono leggere nel libro di proprietà dell’autore.

“Lu cantastorie un cinni leva e un cinni metti …” è ancora così?

In un’era in cui si vive di tecnologia e dove l’informazione corre veloce ed in alcuni casi rappresenta la disinformazione, il ruolo dei cantastorie diventa fondamentale per esaminare le problematiche della sua epoca. Il cantastorie di oggi deve avere un soggetto globale per l’importanza del ruolo culturale che riveste. Il cantastorie oggi significa mettersi in gioco in un contesto socio culturale diverso da quello che poteva esservi dagli anni ’20 agli anni ’70, deve riappropriarsi delle piazze e adattare le proprie storie ad un pubblico che oggi è sempre più distorto dalle tecnologie e dai mezzi odierni.

Da Ciccio e Nino Busacca in poi, sono molti gli eredi diventati artisti che oggi si esprimo in vari ambiti, ci puoi spiegare nel dettaglio?

Dei fratelli, nipoti e pronipoti hanno continuato artisticamente. Pochi sul piano dell’attività culturale dei cantastorie, ma di certo molti impegnati nel settore musicale, ognuno nel proprio ambito. Chi musicista, chi cantante, altri invece hanno deciso di continuare con l’arte dei nostri maestri cantastorie, con il lavoro di ricerca, sviluppo e trasmissione dal padre nonno dei cantastorie, altri invece attraverso la sperimentazione dell’aspetto artistico e pittorico, come mia sorella Carmen Busacca, che ha realizzato ex novo molti dei cartelloni andati perduti ed infine i giovani talenti in erba come la piccole cantastorie Ginevra Giuffrida, anche lei erede Busacca con il suo percorso poetico letterario musicale.

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