La procreazione è sempre stata un fatto strettamente personale, legato alla libera e spontanea volontà del soggetto. In Italia, attualmente, si parla di culle vuote, sottolineando il fenomeno della scarsa natalità. Il calo delle nascite nel nostro Paese è uno dei più bassi d’Europa e si assesta, secondo i dati Istat, alla media di 1,21 figli per donna. Le cause di questa crisi sono dovute a vari fattori, non solo legate al problema economico, ma ad un cambio strutturale della popolazione femminile in età fertile che continua a diminuire. Nonostante le numerose politiche volte a favorire l’incremento delle nascite, solo il fenomeno migratorio ha portato un aumento dei bambini nel nostro territorio.

Di approccio divergente il  fenomeno che ha coinvolto la Cina di Deng Xiao Ping, Presidente del Comitato nazionale della Conferenza politica consultiva del popolo cinese,  che nel 1979 decise di introdurre una norma, estesa a livello legislativo nazionale, che vietava alle donne di avere più di un figlio. La “Legge eugenetica e protezione salute” prevedeva un severo regime di controllo delle nascite al fine di risolvere il problema della sovrappopolazione. Nel 1981 fu creato un Ministero della Pianificazione Familiare, e nel 2002 la politica del figlio unico è diventata legge dello Stato.

Alle coppie era consentito avere un unico figlio; le femmine erano considerate una sciagura perché conducevano la dinastia all’estinzione. Oltre due milioni di bambine furono uccise alla nascita, e le donne incinte furono arrestate e costrette ad abortire. Alcuni medici furono incaricati di uccidere le neonate sotto pressione del governo cinese.

Solo i ricchi potevano avere più di un figlio perché avevano la possibilità economica di pagare la tassa sui figli, una sanzione applicata ad ogni figlio, dopo il primo. Se non fosse stata pagata, si sarebbe perso, improvvisamente, il lavoro e la casa di famiglia sarebbe stata demolita ([1]).

Alcuni, pur di non vedere uccidere le proprie figlie, non le iscrivevano all’anagrafe, tenendole nascoste. Questo innescava, inesorabilmente, un circolo vizioso che conduceva le bambine mai nate a non potersi curare, a non poter avere una vita normale, a non poter andare a scuola. Molte bambine venivano abbandonate o lasciate morire per terra, fra i rifiuti. Solo una parte delle sopravvissute finivano negli orfanatrofi ([2]).

Erano previste eccezioni: le coppie contadine, se avevano avuto come primo figlio una bambina, potevano avere un secondo figlio, nella speranza che nascesse un maschio; i ricchi e i burocratici del partito potevano permettersi, dietro il pagamento di multe, di avere più di un figlio; due genitori, se entrambi figli unici, potevano avere un secondo figlio.

In occasione del Plenum dell’assemblea del Comitato centrale del Partito comunista, per decidere le politiche economiche ed il piano strutturale del Paese tra il 2016 e il 2020, Pechino ha abolito la politica del figlio unico e, dopo decenni di pianificazione familiare, ha autorizzato le coppie ad avere due figli.


[1] www.centumcellae.it/in-evidenza/donne-la-faccia-triste-della-cina/

[2] http://www.torremaura.it/ormedidonna/societa2.htm

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