
«Quante maschere e sottomaschere noi indossiamo/ sul nostro contenitore dell’anima, così quando,/ se per un mero gioco, l’anima stessa si smaschera,/ sa d’aver tolto l’ultima e aver mostrato il volto?» (VIII). È il 1918 l’anno in cui il poeta portoghese Fernando Pessoa (1888-1935) pubblica questi e altri versi in Trentacinque Sonetti, raccolta di componimenti poetici in lingua inglese, insieme ad Antinoo, annoverata tra le opere d’esordio. Il canone e l’espressione straniera attingevano alla esperienza all’estero e alla prima maturità letteraria dell’autore, tornato a Lisbona dopo avere vissuto con la famiglia a Durban, in Sudafrica, dove aveva lavorato il patrigno e dove lo stesso Pessoa aveva compiuto i propri studi, leggendo Shakespeare, Milton, Byron, Shelley, Keats e approfondendo la cultura classica. I sonetti, infatti, erano di ispirazione shakespeariana nella scelta della metrica (tre quartine in rima alternata e un distico finale anziché due quartine e due terzine), della lingua straniera, strumento di straniamento da sé e di spersonalizzazione, volta alla ricerca stilistica di iperboli,giochi di parole e preziosismi; e infine nell’introspezione, tra l’essere e il non essere, a introdurre i temi dell’opera pessoana, comuni ad altri autori del Novecento, quali Pirandello e Kafka: mascheramento, consapevolezza dell’incomunicabilità, ineluttabilità del fato, insignificanza dell’uomo, disincanto della perdita delle utopie, bisogno di scoprire una ragione dell’esistenza e la propria identità in crisi, in una progressività incombente cui l’intelletto umano non sa dare soluzione, a differenza della poesia, capace di declinare in versi e immagini quella sofferenza attraverso la finzione.«Errare è trovare il vero, anche se nel suo contrario./ Perché dunque accusare questo mondo d’esser falso/ quando la finzione è qualcosa e perciò esiste?»(XIII).
È così che Pessoa dà corpo all’indagine del sé, scoprendo la molteplicità delle ispirazioni e delle voci diverse – una nessuna e centomila – che governano la sua poesia. È un processo di spersonalizzazione, di produzione di altri sé, caratteristico della cultura iberica e favorito in lui dal bilinguismo. Ciascuno dei sé evocati possiede un’identità autonoma, una volontà autoriale ben definita e addirittura un nome proprio: è un eteronimo, quindi non uno pseudonimo formale dietro cui nascondersi, né una semplice maschera, piuttosto un individuo d’altro aspetto, età e professione, capace di poetare in modo originale, che vive la propria esistenza al di fuori del mondo interiore e della quotidianità di Fernando Pessoa, corrispondente commerciale per una ditta per tutta la vita, mentre coltivava la passione letteraria.
Questa speculazione esistenziale, ma anche letteraria e psicanalitica – nella misura in cui la molteplicità delle identità è sorvegliata, dunque lontana dalla fenomenologia delle nevrosi – è contenuta nella Lettera a Adolfo Casais Monteiro sulla genesi degli eteronimi (1935), quale manifesto dell’interazione tra l’ortonimo Pessoa e i suoi eteronimi principali, tra gli oltre settanta dei quali vi è traccia nelle carte del poeta. Maestro di Pessoa e di tutti gli eteronimi è Alberto Caeiro de Silva (1889-1915), poeta bucolico e uomo di campagna, solitario e contemplativo, che condusse una vita lontana da ogni clamore. Medico e cultore della letteratura classica è Ricardo Reis (1887-1935), esiliato in Brasile per le sue idee monarchiche. Segue l’ingegnere navale Alvaro de Campos (1890-1935), provocatorio, impulsivo, nevrotico, inquieto, sensacionista, di tendenze omosessuali tanto da intromettersi tra Pessoa e la fidanzata Ophelia, ma soprattutto inventore dell’avanguardia portoghese e autore di Tabaccheria (1928), componimento in versi in cui emerge l’ineffabile inanità del poeta, che osserva il mondo alla finestra, non riconoscendo più né gli altri, né sé stesso:« Quando ho voluto togliermi la maschera,/ era incollata alla faccia./ Quando l’ho tolta e mi sono guardato allo specchio,/ ero già invecchiato.». Infine, deve essere ricordato Bernardo Soares, aiutante contabile in una ditta di import-export di tessuti a Lisbona, che Pessoa incontrò al tavolo di una modesta trattoria e in cui riconobbe per similarità con sé stesso un «semieteronimo … perché, pur non essendo la sua personalità la mia, dalla mia non è diversa, ma ne è una semplice mutilazione. Sono io senza il raziocinio e l’affettività». Si tratta del materiale letterario più vicino all’ispirazione dei sonetti del 1918.
Bernardo Soares è il personaggio più prossimo al comune sentire di Pessoa ed è autore del Libro dell’inquietudine (1929), zibaldone di considerazioni, riflessioni, appunti, meditazioni e slanci lirici. È articolato come un libro-progetto ipotetico, in quanto composto da una serie di note sparse, ordinate dalla critica all’atto della pubblicazione postuma, così come per gran parte della produzione pessoana.Con Bernardo Soares e il suo sentimento del tempo, Lisbona entra nella letteratura del Novecento, come la Praga di Kafka, la Dublino di Joyce, la Buenos Aires di Borges.
Ortonimia ed eteronimia sono in relazione tra loro, perché partecipano parimenti alla costellazione lirica di Pessoa con una cifra comune, come elementi dell’Io molteplice del poeta, riuniti nella grande famiglia del sé in un sistema aperto, fuori da gerarchie, disgregazione e frammentazione della personalità. Sicché nel dichiarare che «Il poeta è un fingitore./ Finge così completamente/ che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente» (Autopsicografia, 1931), Pessoa definisce che per il poeta fingere è un’attività cruciale, perché fingere è conoscersi e consentire all’io di duplicarsi.
La creazione degli eteronimi è inoltre il prodotto di un’altra singolare passione del poeta portoghese: quella per l’astrologia. Alla sua scomparsa, sono stati reperiti circa duemila documenti per la redazione di testi astrologici (mappe astrali ordinate ad astrologi stranieri, in particolare professionisti inglesi; mappe astrali disegnate da Pessoa per sé stesso; prodotti della pratica corrente dell’astrologia) e oltre trecento carte astrologiche di eteronimi, familiari, amici, conoscenti, personalità portoghesi e straniere, alla ricerca della circolarità fra l’astrologia e le vite altrui (Oscar Wilde, Napoleone Bonaparte, Johann Wolfgang Goethe, William Shakespeare, D.Sebastiao, re del Portogallo, John Milton, Victor Hugo, Fryderick Chopin, Charles Baudelaire, D.Carlos e D.Amelia, sovrani del Portogallo, Vittorio Emanuele III, Benito Mussolini, Antonio de Oliveira Salazar, Charles Dickens). Lui stesso si dichiara a un editore «I’m a student of Astrology» sin dal 1915 e fa firmare molti dei testi redatti al suo eteronimo Raphael Baldaya. È verosimile che Fernando Pessoa abbia attinto all’astrologia anche per creare i suoi eteronimi più celebri, forse per controllarne la personalità, conoscerne la data della morte, e così della propria, alla luce di dettagli che riconducono alla loro interazione. Si osserva, ad esempio, che Caeiro, Reis, de Campos e Pessoa hanno in comune Mercurio come astro dominante nel segno; inoltre, la famiglia degli eteronimi componeva un intero universo, essendo ciascuno appartenente a un elemento (Pessoa appartiene all’elemento Acqua, Caeiro al fuoco, de Campos alla terra, Reis all’aria).
In Italia, la scoperta e la fortuna di Fernando Pessoa si devono negli anni Ottanta ad Antonio Tabucchi (1943-2012). L’apprezzamento fu tale da candidarlo tra i più grandi poeti del Novecento, giustificando la pubblicazione dell’opera pressoché inedita, e affidando al cognome «Pessoa», l’equivalente portoghese di «persona», l’anteprima del tema della molteplicità.
Durante la permanenza in Portogallo, Tabucchi si era imbattuto nelle carte custodite dalla sorella del poeta, e aveva sentito l’urgenza di un’edizione critica di quegli scritti. Era nato così Un baule pieno di gente (1990), destinato ad aprire la strada ad altre numerose pubblicazioni critiche e all’edizione delle opere dello stesso Pessoa in Italia (Una sola moltitudine, volume I e II, Adelphi 1979 e 1984; Il libro dell’inquietudine, Feltrinelli 1986;Trentacinque sonetti, Passigli 1999; Il banchiere anarchico, 2001; Poesie d’amore di Ricardo Reis, Passigli 2007: Il mondo che non vedo, poesie ortonime,Bur 2009; Un’affollata solitudine, poesie eteronime, BUR 2012; Poesie di Fernando Pessoa, Adelphi, 2013).
Nell’edizione critica, Il libro dell’inquietudine presenta un duplice livello di finzione letteraria:l’attribuzione al semieteronimo Bernardo Soares e la formula del suo diario. Secondo Tabucchi, nell’interazione tra Soares e Pessoa, lo sguardo sul mondo recepisce la profondità dell’indagine interiore nella lezione agostiniana, sulla condizione del tempo nelle vicende umane, mentre alla finestra osserva la vita attraverso le imposte, rivolte all’interno e all’esterno, ovvero dentro e fuori da sé; la familiarità dei poeti con le Muse e con la filiazione dall’Arte, quanto alla nascita degli eteronimi; ma anche l’affresco intimo e decadente della lirica di Baudelaire, anche per la scelta formale di una raccolta di frammenti di poemi in prosa.
«All’improvviso oggi ho dentro una sensazione assurda e giusta. Ho capito, con un’illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno»; e ancora:«Ho mal di testa e d’universo». Tale è la conseguenza dello straniamento dalla realtà.
Contestualmente, l’eteronimia e la molteplicità del sé riconducono la riflessione sulla coesistenza dei personaggi, maschere e non di sé stessi. E facilmente ci si ritrova sul sentiero della drammaturgia pirandelliana.
È lo stesso Tabucchi a formulare interessanti combinazioni, tanto nel raffronto tra Alvaro de Campos e Zeno Cosini di Italo Svevo, a proposito del fumo, in accezione regressiva per entrambi, quanto tra i personaggi di Pessoa e Pirandello, in generale. Il drammaturgo siciliano sarebbe stato in Portogallo per ben due volte, nel 1923 e nel 1931, ma non risulta che incontrò mai il poeta.
E se la vita degli eteronimi può essere abbracciata da altri scrittori, come fa José Saramago (1922-2010) in L’anno della morte di Ricardo Reis (Feltrinelli, 1984), la sperimentazione letteraria di Tabucchi raccoglie l’eredità di Pessoa e la avvicina a quella di Pirandello. Così accade in Sostiene Pereira (Feltrinelli, 1994), il cui protagonista si arrovella tra quesiti esistenziali come già Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno e centomila (1926). E allo stesso modo in Il signor Pirandello è desiderato al telefono(1988), dramma in atto unico, in cui un attore, invitato a interpretare Pessoa per intrattenere i pazienti del manicomio di Cascais, in Portogallo, dimentica via via le battute e vorrebbe telefonare allo scrittore italiano, per condividere le riflessioni in libertà sul mescidare realtà e finzione. Nella nota al testo, Tabucchi ci fa sapere che mai i due si conobbero, e che l’ipotesi del ricovero di Pessoa a Cascais, ventilata in una lettera alla fidanzata, non ebbe seguito, lasciando intendere che la messa in scena sia la declinazione di uno dei suoi giochi del rovescio. Eppure non possiamo fare a meno di pensare quanto la moltiplicazione del sé appartenga all’uomo, come un imprescindibile universale, reale e immanente, oltre la finzione letteraria.
•Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares (Feltrinelli, 2005)
•Fernando Pessoa,Trentacinque sonetti (Passigli, 1999)
•Antonio Tabucchi, Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa, Feltrinelli 1990
•Fernando Pessoa, Lettera a Adolfo Casais Monteiro sulla genesi degli eteronimi, in A.Tabucchi, Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa, cit.
•Alvaro de Campos,Tabaccheria, in A.Tabucchi, Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa, cit.
•Paulo Cardoso e Jeronimo Pizarro, Fernando Pessoa l’astrologo,trad. di Romana Petri (Cavallo di ferro, 2012)
•Antonio Tabucchi, Il signor Pirandello è desiderato al telefono, in I dialoghi mancati (Feltrinelli, 1988)
•Fabrizio Parrini, Fernando Pessoa. Il poeta che non c’è, Edizioni Clichy, Firenze 2023
•Marco Piazza, Il sé molteplice di Fernando Pessoa, in «Atque. Materiali tra filosofia e psicoterapia», 9,1994, pag 173-192
•Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, Arnoldo Mondadori Editore 1967