
Ci sono attori che con le loro interpretazioni hanno raccontato, raccontano, l’Italia, le sue trasformazioni, le sue contraddizioni. Delle caricature, maschere, che raccontano la realtà attraverso la deformazione e l’esasperazione di fatti e personaggi reali, dei quali sanno cogliere i tratti salienti.
Uno di questo è certamente il palermitano Gino Carista, una vita spesa tra i palcoscenici e i set cinematografici. Lo abbiamo incontrato nei camerini del teatro Sant’Eugenio di Palermo, poco prima di andare in scena con la sua ultima interpretazione in un classico del teatro dialettale siciliano, L’eredità dello zio canonico.
Quando è nato il Gino Carista attore?
Nel 1977, quando sono andato ad iscrivermi al collocamento dopo aver fatto uno spettacolo, un piccolo intervento in realtà, all’interno di uno spettacolo di Gianni Nanfa e Pippo Spicuzza. In quell’occasione imitavo un travestito, ispirandomi a una persona che avevo conosciuto alla fine degli anni sessanta e che andava in giro vestito da donna. Alla fine della serata Spicuzza mi aveva dato centomila lire e mi aveva detto «Adesso vai ad iscriverti al collocamento in via Notarbartolo perché, avendoti pagato, sei diventato un professionista». Da allora mi sento un attore. Anche se, devo dire la verità, per tanti anni sono stato anche dipendente del Ministero delle Finanze, prima come dattilografo e poi alla Manifattura Tabacchi.
Un regista con cui hai lavorato tanto è stato Franco Maresco.
Con Franco Maresco ho sempre avuto un buon rapporto. Per me è uno dei più bravi registi italiani. Per fare quello che fa Franco ci vuole forza, intelligenza, tenacia, e lui ha tutto. È geniale. Come mi ha diretto lui a teatro nessuno lo ha mai fatto, mi ha sempre messo a mio agio. Mi diceva «Gino, vorrei che questa cosa la facessi in questo modo», però accettava anche i miei consigli. E io prendevo i suoi perché sapevo che erano quelli giusti per il personaggio che dovevo interpretare. Lui riesce a vedere sempre oltre. Ne Il ritorno di Cagliostro, firmato anche da Daniele Ciprì, ho avuto solo una piccola parte. Ma prima di quella scena, quella della “scimia ‘e Tarzan” insieme a “Zu Totò”, Franco Scaldati, con Franco Maresco abbiamo parlato, mi ha spiegato come sarebbe dovuta essere e poi mi ha detto «Adesso fammela davanti alla cinepresa».
Quindi non c’era un copione?
Giuro, è stata tutta improvvisata, non c’era un copione scritto. Ma quando Franco ti parla è come se ti stampasse il copione dentro.
Parlami degli altri tre palermitani con cui hai lavorato, la coppia Picone e Ficarra e Pif.
Beh, Pif, Pierfrancesco Diliberto, lo conosco da tanti anni, da quando lavorava per le Tv private. Con lui ho fatto La mafia uccide solo d’estate e In guerra per amore, ma sono stato impegnato in poche scene. Diverso è stato con Picone e Ficarra, perché loro hanno fatto più film. Ho interpretato Gino Passalacqua in Nati stanchi, ho avuto parti in Andiamo a quel paese, Incastrati, Santocielo. Abbiamo anche fatto un Pierino e il lupo al Teatro Massimo.
Con chi ti sei trovato meglio?
Mi sono trovato bene con tutti. Ma anche con Sergio Corbucci quando ho fatto Questo e quello con Renato Pozzetto nel 1982, con Damiano Damiani quando ho fatto Pizza connection, con Daniele Ciprì ho fatto La buca con Rocco Papaleo e Sergio Castellitto ed È stato il figlio con Toni Servillo.
Preferisci il cinema o il teatro?
Io nasco come cabarettista, però da quarantasette anni dico che non sono un cabarettista, ma sono un comico perché io mi sono sempre ispirato a Renzino Barbera e a Gustavo Scirè, se vogliamo fermarci ai palermitani. A livello nazionale sono sempre stato innamorato di Totò, di Alberto Sordi, Aldo Fabrizi, Enrico Montesano, Gigi Proietti. Questi mica erano cabarettisti, erano comici! Come lo erano Paolo Panelli, la coppia Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. Cabarettista è uno che racconta barzellette. E io mi incazzo quando mi definiscono cabarettista. Perché io le barzellette le so raccontare ma lo faccio con gli amici, in privato, mai in scena. Vengo dal teatro popolare. Amo in modo viscerale Giovanni Verga e recito spesso copioni scritti da me, portando sul palcoscenico la palermitanità. Ma la porto con dignità, senza essere mai volgare, perché non c’è bisogno di esserlo. Posso utilizzare dei luoghi comuni, delle espressioni che sono nostre, ma senza mai essere volgare, altrimenti rischio di perdere il pubblico che in tutti questi anni mi ha seguito. Se dico delle parolacce la gente ride, ma restano sempre delle parolacce, non avrei inventato niente. In tanti lo fanno, ma cos’hanno creato? Niente. Solo spazzatura.
Sei stato anche un musicista. Che rapporto hai con la musica di oggi?
Non mi piace. Tutte sono canzoni ma ci sono canzoni e canzoni. Quelle degli anni cinquanta, sessanta e settanta erano canzoni. Oggi, più che canzoni sono esibizioni di persone che non hanno nulla da dire e che pensano solo all’immagine, che cantano in mutande, e alcuni anche senza. Io sono contento di aver vissuto negli anni sessanta. Impazzivo per Help! dei Beatles, Let’s spend the night together dei Rolling Stones, mi piaceva Elvis Presley. Sono un rockettaro e ne sono contento. Ero pure capellone! Ho vissuto un’epoca bellissima. Ho 76 anni vivendoli tutti in modo pieno.
La cosa più bella che hai fatto?
Mi cogli di sorpresa. Forse Acqua di gramigna, una favola per bambini che avevo scritto anni fa e che poi è diventata Comico romantico, uno spettacolo che ho messo in scena.
Rimpianti?
Non ne ho. Quando stavamo girando Pizza connection, Tony Sperandeo mi aveva chiesto se volevo entrare a far parte di un’agenzia che rappresentava gli attori. Secondo lui in questo modo avrei avuto più occasioni di scritture. Ma io all’epoca ero impiegato e già facevo diversi spettacoli. Mi sarei dovuto licenziare e non ho avuto il coraggio di rischiare, di lasciare il certo per l’incerto, avevo due figli ancora piccoli. Ma non ho rimpianti per questo, perché ho fatto lo stesso tanti film. Ancora oggi non ho un’agenzia che mi rappresenta, e sono direttamente i registi a chiamarmi. E questo è tutto. Ora aspetto la mia dipartita…
Ma no…
E perché, quanto posso campare ancora? Altri 25/30 anni? Intanto però vado a cambiarmi che tra poco si va in scena.