Presso i Greci nacque il teatro e i suoi generi principali: la commedia e la tragedia. Il teatro era per gli antichi un’esperienza politica e sociale oltre che puro divertimento: se per i cittadini meno abbienti era svago e diletto durante le feste religiose, per gli aristocratici era il modo perfetto per dimostrare ai pari e alla città quale famiglia fosse più potente, finanziando le rappresentazioni.

In scena gli attori erano tutti uomini e per distinguere un personaggio da un altro questi indossavano maschere, dotate spesso di caratteristiche fisse, che rendevano il personaggio semplice da riconoscere anche a distanza. L’uso delle maschere, in greco πρόσωπον, che indica il “viso” ma anche la “persona”, permetteva anche allo stesso interprete di recitare più ruoli all’interno della medesima opera teatrale e secondo alcuni studi consentiva alla voce del commediante di raggiungere anche gli spettatori più lontani, fungendo da cassa di risonanza.

Nel V secolo a. C. quando Roma entrò in contatto con la vasta conoscenza greca, importò, tra le altre cose, la tragedia che i romani distinsero ulteriormente in cothurnata, che prendeva il nome dei cothurni i calzari degli artisti e aveva ambientazione greca e la praetexta, di ambientazione romana. Giunse a Roma anche la commedia che fu distinta in palliata e togata, la prima traeva il suo nome dal pallio, il mantello tipico dei greci, mentre la seconda dall’abito romano. Insieme ai generi però i latini ereditarono anche la tradizione delle maschere, soprattutto per le commedie di Plauto e Terenzio, in cui i personaggi stereotipati potevano così essere individuati senza sforzo alcuno. A Roma, la maschera prese il nome di persōna, da questo termine latino nacque il francese personnage che diede origine in italiano alla parola personaggio, la quale indica al suo secondo significato ciascuna delle persone o degli animali, che prendono parte ad un’opera teatrale, letteraria o cinematografica. Presso gli antichi, dunque, non c’era differenza tra un essere vivente ed uno di finzione; né tanto meno tra il costume e la creatura impersonata. Fu proprio questa sovrapposizione a dare origine, nel XVI secolo, all’espressione “maschera” per indicare nella commedia dell’arte, una figura creata allo scopo di rappresentare i vizi e le virtù di una città o una regione del Bel Paese. Nacquero in questo periodo, infatti, Pulcinella e Arlecchino, Colombina e Pantalone, Peppe Nappa e Meneghino e tutti gli altri caratteri. Questi prendevano le mosse dai protagonisti della commedia romana e recitando con costumi e battute standardizzate, portavano in scena episodi divertenti della vita quotidiana, fungendo anche in alcune occasioni da strumenti di satira e critica della società.

Per quanto riguarda la parola italiana “maschera”, la sua origine è incerta. Secondo alcuni studiosi trarrebbe le sue origini dal latino masca con il significato di strega, ancora oggi vivo nel dialetto piemontese, mentre per altri dal latino manducare usato da Plauto come sinonimo di imago, ovvero fantasma. In entrambi i casi però il termine sembra riferirsi a personaggi di fantasia, spesso protagonisti di fiabe e spettacoli di teatro sin dai tempi più antichi.

Oggi l’espressione maschera non è più utilizzata solo per riferirsi allo strumento di scena o all’ambito teatrale, ma ha visto ampliare il suo significato legandosi, per esempio, al concetto di identità, come ci ricorda la riflessione di Luigi Pirandello, ma anche a quello di trasformazione personale e interazione sociale in campo medico, filosofico e letterario. Questi ultimi aspetti ne arricchiscono e completano il significato rendendo questo termine parte della lingua viva che parliamo.

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