
Alcuni storici e alcuni “dantisti”, già nel XIV secolo, avanzarono l’ipotesi che Dante abbia fatto il noviziato presso i frati minori di Santa Croce, a Firenze. Ne sarebbe uscito prima di emettere i voti di vita religiosa e, in età successiva, sarebbe entrato nel Terz’Ordine francescano.
La congettura si fonda sull’opinione di Francesco Bartolo da Buti (1324-1406), che all’università di Pisa tenne la cattedra di studi danteschi e il cui commento, terminato verso il 1380, fu il primo redatto in volgare ed esteso all’intera Commedia. Traendo spunto da un passo del poeta – che diceva d’avere “una corda intorno cinta” e che poi l’ebbe “tutta […] sciolta” (Inferno, XVI, 106-109) -, affermò che Dante era stato frate francescano ma che non si legò con i voti della professione.
Le espressioni dantesche erano chiaramente allegoriche; ma la notizia biografica fu considerata reale. L’appartenenza al Terz’Ordine, poi, sarebbe attestata da un codice anonimo del Quattrocento. L’una e l’altra tesi furono accolte dal Landino (1424-1492) e, nella seconda metà del sec. XV, dalla Cronaca Maggiore di frate Mariano da Firenze, andata perduta ma riferita da frate Antonio Tognocchi da Terrigna in Genealogium, et Honorificum Fratrum Etrusco-Minoriticum del 1680.
In effetti, l’opinione di un Dante “terziario francescano” trovò consensi nel clima storico e culturale romantico: epoca che registrò la «riscoperta» della poesia dantesca – dapprima sottovalutata rispetto a quella, ingentilita, del Petrarca, poi “trascurata e disprezzata” dall’età barocca e illuminista (Auerbach 1987, 45 ss.).
Il clima romantico, all’interno della corrente cattolica, favorì, in particolar modo, l’immaginario di un Dante, per un verso, tormentato dalla morte della “sua Beatrice” e, per altro verso, affascinato dalla scelta «ascetica» dell’ideale francescano. Ad esempio, Dante, per Niccolò Tommaseo, fu sicuramente terziario francescano; per Cesare Cantù fu “frate laico”, cioè fino alle soglie della professione canonica (E. D., 468).
Tra Ottocento e Novecento, all’epoca del gran fermento di interessi francescani suscitati dagli studi di Paul Sabatier e dal rinvenimento, in monasteri benedettini, dei codici di biografie francescane che erano state messe al bando nel 1266, e poi, ancor di più in occasione delle celebrazioni per il VII centenario dell’ istituzione del Terz’Ordine francescano (1921), l’idea di un Dante terziario francescano conobbe una vera e propria esplosione entusiastica. Tra le voci ecclesiastiche dell’Ottocento possiamo ricordare Antonio Lubin, Mauro Ricci e Agostino Bartolini.
Alcuni hanno individuato nell’affresco di Giotto, nella basilica di San Francesco ad Assisi, gli indizi di un Dante terziario, raffigurato insieme con Francesco e la figura di una clarissa: Dante avrebbe simboleggiato, nello specifico, proprio il Terz’Ordine Francescano (Cristofani, 202).
Anche in tempi più recenti c’è chi ha ritenuto che Dante sia stato novizio, poi terziario e sepolto con l’abito francescano (Martini, Tardioli); altri, infine, che sia stato almeno sicuramente terziario.
In linea teorica, la militanza di Dante tra le fila del movimento francescano risulta molto probabile. E, anche se le testimonianze storiche sono troppo tardive, per poter essere considerate del tutto probanti, rimane la superba testimonianza del canto XI del Paradiso, dedicato proprio a San Francesco e la suggestione del “Sommo Poeta”, affascinato dall’esempio e dall’ideale di vita del “Poverello d’Assisi”, che chiede di poter emettere i voti nell’Ordine dei Fratelli della Penitenza, come venivano chiamati ai tempi i Terziari Francescani.

San Bernardo nella Divina Commedia
Dante lo introduce nel Canto XXXI del Paradiso, quando il poeta, giunto ormai nell’Empireo, sta ammirando la candida rosa dei beati: egli si volta per parlare a Beatrice, ma con sua grande sorpresa vede accanto a sé un vecchio dall’aspetto venerando, il cui volto ispira benigna letizia e con l’atteggiamento devoto di un padre amorevole. A lui chiede dove sia andata Beatrice e il santo risponde che proprio lei lo ha chiamato come ultima guida di Dante nel viaggio in Paradiso, indicando il seggio nella rosa celeste dove la donna ha ripreso il suo posto. In seguito il santo invita Dante a spingere lo sguardo su tutta la rosa dei beati, soffermandosi in particolare sulla Vergine per la quale egli dichiara di ardere d’amore, presentandosi infine come il suo fedel Bernardo.
Nel Canto XXXII il santo illustra a Dante la disposizione dei beati nella rosa celeste, quindi (dopo la glorificazione di Maria) Bernardo indica al poeta alcune delle più eccelse anime della rosa, affermando infine la necessità di invocare l’intercessione della Vergine affinché Dio conceda a Dante l’altissimo privilegio di fissare lo sguardo nella Sua mente.
All’inizio del Canto XXXIII Bernardo rivolge dunque alla Vergine la famosissima preghiera con cui chiede l’intervento di Maria, e in seguito Dante descrive la visione di Dio che conclude la Cantica e il poema.
Bernardo è di fatto la terza guida di Dante nel suo viaggio ultraterreno, dopo Virgilio (allegoria della ragione naturale dei filosofi) e Beatrice (allegoria della teologia rivelata e dalla grazia santificante): il suo valore è stato oggetto di discussioni, ma probabilmente la sua figura rappresenta il fulgore divino che consente la fruizione del Suo aspetto con una sorta di suprema intuizione, ciò che in alcuni testi dei Padri della Chiesa viene indicato come lumen gloriae .
In questo senso, così come la filosofia razionale è subordinata alla teologia rivelata, anche quest’ultima è insufficiente di per sé a cogliere nella sua pienezza la sostanza divina, per cui è necessario un ulteriore aiuto da parte di Dio: non si tratta di un’esperienza totalmente irrazionale, poiché la visione della mente divina è comunque un atto dell’intelletto, ma ovviamente in essa vi è una forte componente mistica, per cui ben si comprende perché Dante abbia scelto san Bernardo quale terza e ultima delle sue guide nel viaggio nell’Oltretomba.
Nella Divina Commedia Dante trova San Bernardo di Chiaravalle in Paradiso, di fronte alla candida rosa dei beati, come guida per l’ultima parte del suo viaggio, in virtù del suo spirito contemplativo e della sua devozione mariana.
Bernardo compare nel Canto XXXI del Paradiso come allegoria dell’estasi beatifica, situata al culmine dell’ascesi verso Dio. Dante è stato accompagnato da Beatrice, simbolo della fede, fin nell’Empireo e contempla la Mistica Rosa dei beati e degli angeli. Si volta per porre una domanda a Beatrice ma si accorge che questa è scomparsa e che al suo posto c’è un sene, San Bernardo. Egli invita il poeta a osservare la cima della Rosa, nella sede più luminosa di Maria Vergine.
«E volgeami con voglia rïaccesa per domandar la mia donna di cose di che la mente mia era sospesa. Uno intendëa, e altro mi rispuose: credea veder Beatrice e vidi un sene vestito con le genti glorïose.» Il poeta comunica che quanto sta per raccontare in questa terza ed ultima parte del suo viaggio è difficile da esprimere a parole, attraverso l’uso della razionalità, com’è difficile ripetere ciò che si vede salendo al cielo (cfr Par I, 5-6) o raccontare l’esperienza del superamento della condizione umana (cfr. Par. I, 70-71 ‘Trasumanar significar per verba / non si poria’). Il Paradiso è senz’altro il luogo più misterioso attraversato dal Dante/viaggiatore perché, abbandonati luoghi dove ancora lo corporeità era la misura della condanna e delle sofferenze o della penitenza delle anime, egli si addentra in un ambiente dove le anime sono diventate completamente eteree; nel Paradiso Dante si addentra nei misteri della Fede fino ad un punto in cui la ragione, pur supportata dalla sapienza della Teologia, non riesce ad arrivare: le ultime verità, infatti, sono conoscibili solo tramite l’estasi mistica. Il tema dell’inconoscibilità pervade infatti tutta la seconda parte del Canto in cui, dopo aver ottenuto il tacito assenso della Vergine, Dante fissa il suo sguardo in alto e comincia a guardare nell’Infinito divino. |
Il Canto XXXIII del Paradiso si apre con la preghiera che il santo rivolge alla Vergine Maria (vv. 1-39) perché Dante possa vedere Dio:
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio,3 tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ’l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura.6 Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore.9 Qui se’ a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra ’ mortali, se’ di speranza fontana vivace.12 Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ ali.15 La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre.18 In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate.21 Or questi, che da l’infima lacuna de l’universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una,24 supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l’ultima salute.27 E io, che mai per mio veder non arsi più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi,30 perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità co’ prieghi tuoi, sì che ’l sommo piacer li si dispieghi.33 Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi.36 Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani!».39 Il Canto XXXIII si costituisce di due grandi parti: l’iniziale invocazione alla Vergine e la visione di Dio. Dante lascia a san Bernardo il compito di pronunciare una preghiera indirizzata a Maria per chiederle di favorire l’accesso alla visione finale del viaggiatore mortale, una visione che non sarebbe possibile se questi avesse ancora gli occhi ingombri dal dubbio e dalla ragione che gli impedirebbero di penetrare dubbi così profondi; inoltre, san Bernardo chiede alla Vergine di preservare intatti la mente e i sentimenti di Dante, dopo una visione così travolgente. La preghiera di san Bernardo ricalca nella struttura quella dell’Ave Maria, ma si arricchisce con richiami ad altri inni sacri come il Gloria, il Te Deum e il Salve Regina. Inizia con una lode alla Vergine, le cui virtù vengono descritte ai vv. 1-2 con una serie di antitesi che richiamano ai dogmi dottrinali, per cui Maria diventa ‘figlia’ del suo stesso figlio (in ossequio al dogma trinitario per cui il Cristo è fatto della stessa sostanza del Padre, e viene così generato da quella Maria che è a sua volta creata da Dio) e ‘umile e alta’ allo stesso tempo, più di qualunque altra creatura. Il suo ruolo viene poi richiamato ai vv. 7-9, dove si dice che nel suo ventre si è rinnovato il patto tra Dio e l’Uomo, un fuoco d’amore che ha fatto poi germogliare la rosa dei beati che orna il Cielo Empireo. Questa prima parte del Canto, che anticipa la richiesta che il santo sta per fare per favorire Dante, è quella che, a livello retorico, prepara la seconda parte del Canto, quella in assoluto più solenne. Figure retoriche del Canto XXXIII del Paradiso Vv. 1-2, figlia … creatura: Il ritratto evocativo della Vergine si costituisce attraverso l’uso della figura retorica delle antitesi, in cui vengono accostati termini dai significati contrastanti. V. 8, etterna pace: è parafrasi per intendere il Paradiso. V. 12, speranza … vivace: metafora in cui la generosità con cui la Vergine dispensa carità tra i mortali è paragonata ad una fontana. V. 15, volar sanz’ali: metafora secondo cui il desiderio necessita di ali per essere soddisfatto. V. 22, infima lacuna: perifrasi per indicare l’Inferno. V. 25, supplica a te: si tratta di un latinismo nel senso che il verbo ha una costruzione alla latina, cioè regge il dativo ‘a te’. V. 27, l’ultima salute: perifrasi per indicare Dio. V. 33, sommo piacer: perifrasi per indicare la visione di Dio. V. 40, Li occhi … Dio: perifrasi per indicare lo sguardo di Maria. V. 43, l’etterno lume: perifrasi per indicare Dio. V. 46, fine … disii: perifrasi per indicare Dio. |
Dopo avere descritto il legame intimo della Madonna con il mistero dell’Incarnazione, la supplica, con un ardor maggiore che per se stesso (vv.28-29), perché il sommo piacer della visione divina si dispieghi per Dante; quando la Vergine dimostra di aver accolto la sua preghiera volgendosi Essa stessa verso l’etterno lume, Bernardo con un sorriso accenna al poeta di guardar suso.
«Bernardo m’accennava, e sorridea, perch’io guardassi suso; ma io era già per me stesso tal qual ei volea»(vv.49-51) |
La descrizione della visione divina
Dante dapprima vede tre cerchi di eguale misura e diversi colori: il secondo sembra un riflesso del primo (a simboleggiare la contemporanea differenza ed unità tra il Padre ed il Figlio) mentre il terzo li avvolge entrambi come fosse una sorta di fiamma (simbolo dello Spirito Santo). Poi scorge una figura umana nel secondo cerchio, visibile nonostante sia dello stesso colore del cerchio stesso e, mentre cerca di capire quello che vede viene rapito da un’estasi mistica che dura un tempo indefinito e che non può descrivere, se non per il fatto che sente che ormai la sua mente è governata dal volere divino.