
Esiste in statistica la legge dei grandi numeri per cui in un evento a due soli risultati possibili, se assolutamente casuale e aleatorio e se ripetuto per molte volte, quale ad esempio il lancio di una moneta non truccata, entrambi si presenteranno per il 50% dei casi. Su 40.000 lanci di una moneta, sia testa sia croce, compariranno entrambi per 20.000 volte più o meno un limitatissimo numero di casi.
Una competizione elettorale, con qualsiasi sistema elettorale, ha, sempre e comunque, due soli possibili risultati: la coalizione che andrà al governo e quella che resterà all’opposizione pertanto può essere assimilata al lancio di una moneta. Se inoltre entrambe le coalizioni sono impregnate di mediocrità, confusione e vaghezza nella proposta e nell’azione politica e amministrativa, l’evento può considerarsi assolutamente casuale ed aleatorio con la conseguenza certa e matematica della garanzia, per entrambe le coalizioni, del 50% dei suffragi. Vincere le elezioni significherà allora spostare qualche migliaio di voti da una parte all’altra, operazione questa assolutamente sganciata da una qualsiasi valutazione razionale e consapevole dell’azione politica e amministrativa.
In sostanza mediocrità confusione vaghezza insulsaggine inconsistenza insipidezza, se praticate da entrambe le coalizioni, garantiscono, ad entrambe, il 50% dei suffragi ovvero, in termini elettorali, pagano più delle scelte coraggiose e lungimiranti e, per ciò stesso, rischiose con la conseguenza che la competizione genera non già emulazione e miglioramento bensì mediocrità confusione vaghezza insulsaggine inconsistenza insipidezza.
Ciò è possibile anche in conseguenza del diffuso consumismo nonché della terziarizzazione della società. Impiegati e professionisti si trovano sia nei partiti del centro sinistra che in quelli del centro destra per cui l’adesione ad uno degli schieramenti non è dettata da precisi interessi da difendere bensì da residui ideologici, da storie personali, da convenienze contingenti, da simpatie. Scegliere un partito somiglia sempre più alla scelta della squadra per cui tifare e le dispute politiche televisive hanno la stessa struttura del Processo del lunedì e di Quelli del calcio: non dell’approfondimento ma della scazzottata verbale. Alle elezioni ci si appassiona con lo stesso trasporto che si ha per i protagonisti del Grande fratello o per le ragazze del concorso di Miss Italia o per le canzoni del Festival di Sanremo. Tutto viene consumato e digerito nella grande macina dell’«usa e getta»!
Ecco una possibile spiegazione del perché, all’interno delle coalizioni e dei partiti, potere e disputa politica, sono giocati non per la ricerca di risposte nuove ai bisogni, vecchi e nuovi, dei cittadini, non per orientare e guidare la società civile verso traguardi più avanzati ma, quasi del tutto, per seguire e catturare gli umori del momento.
D’altronde alla ricerca di risposte nuove ai bisogni vecchi e nuovi e alla guida verso traguardi più avanzati ci pensano i magnati, i super potenti (i nomi si trovano su internet) che, oltre ad avere singolarmente una quantità tale di danari da superare la somma degli spiccioli di miliardi di persone, posseggono strumenti di comunicazione di massa tali da impadronirsi dell’anima di miliardi di persone.
A questo punto mi domando e domando: votare ha senso?
Mi sovviene il ricordo della prima commedia che ho visto in vita mia. “U votu” di Francesco Pennisi primo vescovo di Ragusa. Era il 1953. Il protagonista, un contadino analfabeta, si reca al seggio elettorale, entra in cabina ed esce dopo un bel po’ di tempo senza giacca e con le maniche della camicia tirate su ed esclama: cca nun c’è nenti ri vutari. Votare in siciliano di traduce con vutari che ha anche il significato di rivoltare.
In questa situazione votare non ha senso: occorrerebbe rivoltare!