Al ristorante “Da Mark” si mangia male e si paga molto, anche se il cibo è tutto gratis. Il servizio è approssimativo e le cucine sono senza regole. La merce è sprovvista di documentazione attestante l’origine o almeno così dicono i NAS, che però non vengono fatti entrare.
“Da Mark” ti tocca ingurgitare anche quello che non ti piace e se un giorno per caso hai ordinato cosce di pollo, allora nel tuo menu vedrai sempre cosce di pollo. O di tacchino. O di rana. O di attricetta. E a casa tua, mentre sei in salotto a guardarti l’Europa League (e non sono cosce quelle che inseguono il pallone? Hai visto che ti piacciono come ti avevano detto “Da Mark”?) cominciano a suonarti al campanello produttori di calze a rete, fabbricanti di protesi, rappresentanti di Silk-epil, Testimoni di Cosce, obiettori di coscienza (ve l’ho detto, “Da Mark” il servizio è approssimativo).

Ma allora perché andiamo tutti a mangiare “Da Mark?” Ma perché in fondo al piatto di cibi ultra processati, schivando i capelli finiti dentro alla minestra, troviamo il bocconcino succulento della relazione, un guizzo di calore, un ricordo d’infanzia in salsa agrodolce, un profumo di connessione a tempi e luoghi lontani, una briciola di espressione, la panna montata dell’apprezzamento sulla fragolina dell’amicizia.

E diventa dura non andare a cena “Da Mark” perché altrimenti ti tocca mangiare da solo.  

Però recentemente si è aggiunto un fatto nuovo, che ci obbliga ad uscire di metafora. Perché Mark, che è ovviamente lo Zuckerberg plenipotenziario di Meta, si è fatto ritrarre in fotografia insieme a tutti i principali boss dell’informatica e dei social network accanto al nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, dichiarando un allineamento totale alle sue direttive. E allora le ragioni per lasciare Meta diventano anche legate alla coscienza personale e a una domanda cruciale: esiste la possibilità di non contribuire alla direzione che il mondo sta prendendo, con pochi tecnocrati seduti su Everest di denaro che si mettono al servizio del potere più sconcertante e in cambio regalano a miliardi di persone la socialità come dicono loro? (algoritmo che seleziona quello che DOBBIAMO vedere, pubblicità, trucchetti per farti restare connesso quanto più a lungo, notifiche a getto continuo, licenza di uccidere la Verità contrabbandata per Libertà, spazzatura di tutti i tipi, profilazione delle nostre opinioni al servizio del pazzoide di turno al governo…)

La risposta potrebbe essere affermativa. Esistono piattaforme social senza padroni e algoritmi che vi dicono cosa vedere e cosa leggere e funzionano anche molto meglio dei social che siamo abituati a conoscere. Ma forse si può portare su percorsi più estremi la scelta della disobbedienza, dell’intralcio e della libertà dai programmi codificati: fottere l’algoritmo e vedersi al bar, per strada, nei locali, in viaggio, tra le pagine di un libro, su Operaincerta mensile, in spiaggia, in salotto davanti a un camino, in veranda con i gerani, in birreria, allo zoo di Berlino, a una qualche mostra, in una sala da tè, a raccogliere asparagi, in un labirinto di Donnafugata o di Creta. Insomma mentre la vita si fa e non la si subisce!

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