
Era l’aprile del 1994 quando si svolsero le prime elezioni libere, democratiche e a suffragio esteso del Sudafrica. Dopo quasi 50 anni di apartheid, sangue, razzismo, barbarie, torture e violenze psicologiche, rivolte, boicottaggi ed isolamento internazionale, finalmente una brezza di speranza soffiò sul Paese. Ad essere eletto (primo presidente nero della storia sudafricana) fu Nelson Mandela, premio Nobel per la pace 1993, avvocato, attivista e membro dell’African National Congress (partito antagonista dell’apartheid). Madiba (così veniva chiamato originariamente dalla sua tribù di etnia Xhasa) si trovò a gestire una patata bollente di dimensioni gigantesche. La guerra civile era ad un passo e bisognava tenere in equilibrio poteri bianchi, sensibilità nere e una sete di giustizia che poteva con facilità sconfinare in sete di vendetta. Scelse la strada del perdono, che “libera l’anima e cancella la paura”, unica possibile opzione per la convivenza pacifica. Per lui non fu certo un passaggio facile: 27 anni trascorsi in cella, la maggior parte dei quali in spazi angusti e precarissimi; amici uccisi dalla polizia; torture e omicidi, privazione di ogni diritto fondamentale. Questo era stato il passato. Ed ora si doveva voltare pagina. Riuscì a tenere insieme risorse bianche e nere, a partire dallo sport. Invece che seppellire il simbolo più potente dell’apartheid (il rugby degli Springboks) lo rilanciò coinvolgendo la popolazione nera, anche grazie alla storica vittoria della coppa del mondo 1995. Nella stessa direzione di pace ed equilibrio tra passato e futuro la scelta dell’inno nazionale e della bandiera. E poi l’arduo percorso intrapreso dalla Truth and Reconciliation Commission (TRC) – La Commissione per la libertà e la riconciliazione, che ascoltò vittime e autori dei crimini per poter, con dolore ma anche senso di responsabilità, andare oltre al comprensibile impulso dell’odio.
Il Sudafrica oggi
Che cosa ne è stato del sogno di Mandela? Mi piacerebbe poter affermare che oggi sia la terra della felicità. Purtroppo non è così. Speculazioni, AIDS, violenza, criminalità, corruzione, miseria, disuguaglianza, disoccupazione hanno logorato profondamente la fiducia e la qualità della vita. Al tempo stesso sono stati fatti alcuni progressi, soprattutto a livello infrastrutturale. E l’idea collettiva di convivenza tra bianchi e neri si è stabilizzata, sia pure in modo non sempre idilliaco; nel comune sentire è possibile lavorare insieme. E questo è già di per sé un miracolo. È bello vedere gli Springboks giocare il loro rugby in un meraviglioso connubio tra agilità e forza fisica, tra scaltrezza e resilienza che ha consentito loro di vincere altri 3 mondiali (oltre a quello del 1995 narrato dal bel film di Clint Eastwood “Invictus” e ancor prima dal prezioso libro di John Carlin “Ama il tuo nemico”).
Cosa ci insegna l’esempio di Nelson Mandela
Il livello (etico, culturale, umano) dei politici e dei potenti di oggi è a dir poco scoraggiante. Parlano prevalentemente agli intestini delle persone, senza curarsi minimamente delle conseguenze delle loro parole, senza mai fare uno sforzo di analisi per comprendere le ragioni profonde di ciò che accade; perché hanno compreso che è questa la via più breve per il consenso. A volte neanche le pensano certe cose che dicono o sono consapevoli che si tratta di falsità conclamate, ma non si fermano perché li muove il più cinico opportunismo. E sanno fingere magnificamente, esclamando i loro slogan senza senso e senza sostanza come se ci credessero sul serio, con pathos e violenza verbale. Salvo poi rimangiarsi immediatamente dopo le parole o palesare che tali “concetti” erano semplicemente funzionali ai loro egoistici interessi privati. Come siamo potuti cadere così in basso è francamente un mistero inesplicabile. E la vertigine sale fino al rischio di svenimento se proviamo a fare un confronto con un gigante politico come Nelson Mandela. Si potrebbe riempire pagine e pagine con la sua esperienza. Mi limito ad evidenziarne alcuni aspetti.
Il perdono come strategia politica; lo spirito di servizio, andare oltre sé stessi; la visione di insieme scrutando l’orizzonte
Il Madiba privato non esiste più. C’è un Paese da cambiare… e da salvare. Cosa ne sarà della nostra nazione se facciamo prevalere l’odio, il rancore, il desiderio di vendetta?
Ho trascorso 27 anni in carcere? Ho provato nausea durante la consegna del premio Nobel per la pace a Frederik de Klerk (insignito insieme a me per il dialogo costruttivo) pensando a tutti i torti subiti? Ho subìto violenza, la privazione di ogni diritto fondamentale, la perdita di amici e affetti? Non importa. Anzi, importa, ma in quanto seme di consapevolezza per un obiettivo più grande: il futuro del Sudafrica. “Nulla potrà cambiare se per primi non cambieremo noi stessi”. Il rugby era un segno distintivo dell’apartheid? Bene, non distruggiamolo; bensì sfruttiamolo contaminandolo coi nostri valori e rendendolo strumento di condivisione, di pace, di rilancio dell’immagine del Paese agli occhi del mondo. Le guardie presidenziali sono bianche e prevenute? Hanno fatto cose terribili? Vero, ma hanno esperienza e sono referenziate. Mettiamo il passato alle spalle. “Il futuro della nazione Arcobaleno comincia qui”. Lavoreranno insieme al personale nero di fiducia e daranno una vera immagine di convivenza e di collaborazione.
Ci vuole coraggio per ragionare così. Il coraggio del perdono e della lungimiranza. Non “cosa è meglio per me?” Ma “cosa è meglio per la mia gente?”
Come ha influito la comunità internazionale affinché si arrivasse alla scarcerazione e successivamente al voto
Il ruolo della comunità internazionale nel processo di cambiamento del Sudafrica fu molto importante e ci dimostra quanto si possa fare se si uniscono forze e intenti. Disinvestimenti, sanzioni, boicottaggio (ad esempio sportivo) misero in gravissima difficoltà l’establishment protagonista dell’apartheid. Di particolare rilievo fu il contributo dell’arte, soprattutto del mondo della musica. Tante le iniziative pubbliche, i messaggi durante i concerti. Addirittura furono pubblicati dei dischi che avevano il Sudafrica come tema centrale. Ad esempio ricordo il magnifico brano dei Simple Minds “Mandela day”. Anche Peter Gabriel compose un brano anti apartheid, la struggente “Biko” (ripresa poi dagli stessi Simple Minds) dedicata all’attivista Stephen Biko, morto per le ferite riportate durante le atroci torture della polizia. Ma è davvero nutrito il manipolo di artisti impegnati nella causa. A parte quelli già menzionati, ne cito qualcun altro, giusto per dare un’idea della portata del fenomeno: Sting, Dire Straits, Tracy Chapman, Steven Van Zandt, Joe Cocker, Stevie Wonder, Bono Vox, Miles Davis, Bruce Springsteen, Lou Reed, Bob Geldof, Eurythmics, Bryan Adams, Youssou N’Dour, Bee Gees, Paul Young, Natalie Cole e tanti altri. Molti di questi furono riuniti nel mega concerto di Wembley (1988) in occasione del 70° compleanno di Mandela. Presenti anche le star del cinema Whoopy Goldberg, Richard Gere, Richard Attembourough. Tra gli artisti sudafricani merita un plauso speciale Johnny Clegg, cantante bianco soprannominato “the white zulu”, affiancato da musicisti neri, una testimonianza vivente della lotta al razzismo. Possiamo solo immaginare la potenza simbolica, negli anni della segregazione razziale, di un bianco che balla le danze tradizionali zulu. “Asimbonanga” fu la sua canzone più famosa, un bellissimo inno dedicato a Mandela. Il quale, durante un concerto a Francoforte nel 1999, comparirà a sorpresa sul palco per omaggiarlo e ringraziarlo (con grande emozione di tutti). Clegg definirà quel momento come l’apice della sua vita artistica.
“Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso”. Che il ricordo di te, caro Madiba, di quello che sei stato capace di fare, possa dare un po’ di linfa ai nostri sogni frustrati.
Nelson Mandela. Un uomo di cui oggi si parla troppo poco; un esempio per tutti; un Gigante della Storia. Che è diventato tale attraverso verità semplici quanto difficilissime da applicare, soprattutto in un contesto sociale e politico terrificante quale quello in cui lui si è trovato a vivere e a operare: ed è proprio qui che sta il suo insegnamento più peculiare. Grazie, Marcello, per averci ricordato il leggendario Madiba, nella tua maniera sempre accurata, accattivante ed emozionante.
Grazie a te caro Salvo, di cuore