
Nel mondo del giornalismo ragusano si racconta una storia che potrebbe essere leggenda, ma che è assolutamente vera.
Un cronista deve intervistare un importante deputato locale. Questi gli dà un appuntamento presso la sua segreteria politica. Puntuale come un orologio svizzero, il giornalista si reca nell’ampio locale di una centrale via cittadina. L’anticamera è colma di persone di diversa estrazione. C’è una donna non più giovane, un anziano signore, due ragazzi appena maggiorenni, almeno così pare, e poi altri volti indistinti. Sembra di stare in una sala d’attesa di un medico curante con moltissimi pazienti.
Tutti in piedi appena arriva l’onorevole in questione, tutti reverenti nel saluto. In questa pantomima un po’ grottesca, al giornalista tocca il ruolo del rappresentante scientifico… ovvero di chi, in barba alla fila, entra per primo a prescindere. Nessuno, ovviamente, trova qualcosa da ridire.
Nel chiuso della stanza, sancta sanctorum di chissà quali scelte gravide per le sorti del Paese, il nostro deputato, con faccia sospesa tra la stanchezza e la furbizia di chi sa già tutto, prorompe in una domanda inattesa: “ma lei lo sa che cosa vogliono tutte queste persone da me?”.
L’intervistatore nei panni dell’intervistato resta interdetto. Nella sua testa pensa ad un paio di risposte che non fanno onore né al deputato né alle persone in attesa. Ma alla domanda, come spesso accade quando a proporla sono persone abituate al comando, occorre che risponda solo chi l’ha pronunciata. “Queste persone – afferma il politico di lungo corso – vogliono da me l’illegalità!”.
Il cronista, davanti a tanta sincerità, sbarra gli occhi e resta in silenzio. E’ quel frammento di spaziotempo che l’uomo di maggiore esperienza sa come maneggiare:: “Uno vuole che dia il posto di lavoro a scapito di qualcun altro, la signora vuole una pensione di invalidità per il marito, i ragazzi cercano un modo per farsi levare una multa, il signore pelato vorrebbe che venisse preferito il suo preventivo per vincere l’appalto”.
“E lei cosa gli risponde?”. Ecco finalmente la domanda del giornalista redivivo, tornato ad esercitare il suo mestiere.
“Io? – risponde – se posso li accontento, intanto loro sanno che è a me che devono dare il loro voto”.
Una frase che fa crollare in una manciata di secondi altrettanti principi costituzionali: senso di legalità, rispetto delle regole e del genere umano. Un voto per l’illegalità e l’illegalità per un voto.
Perché racconto questa storia surreale ma non troppo?
Per cercare di dire che il tema del mese è tutt’altro che semplice. Che il voto, in qualunque senso lo si voglia interpretare ha una sua importanza. In una democrazia moderna dovrebbe essere frutto di riflessione e non di mero calcolo. Anche nel caso in cui si decidesse per un astensionismo consapevole.
In un concorso di bellezza dovrebbe scaturire non dall’innamoramento, ma da un reale senso del bello; in un contest canoro dovrebbe prescindere da simpatie e guardare alla reale bellezza di una canzone e alla perizia del suo interprete. Sanremo docet.
A scuola il voto potrebbe essere appena uno strumento per incoraggiare lo studente e non un metro di paragone o, peggio, uno strumento per misurare o mortificare l’intelligenza di un ragazzo.
Il voto, del resto, è una scelta, come quella di chi decide di astenersi dai beni materiali e dal sesso. È una cosa seria. Un voto non può essere vuoto.
Noi proviamo a riempire questo tema con la consueta appassionata collaborazione dei nostri operai incerti. Per servirvi!