
Il passaggio dal ginnasio al liceo è stato traumatico. Venivo da una tipica estate di fine anni 70: durata quattro mesi pieni; quattro mesi che dovevano compensare i nove mesi invernali passati chiusi in casa.
In estate si usciva e si stava fuori casa per tutti il giorno, si rientrava solo per mangiare. La scuola era archiviata, e con lei tutto quello che la riguardava, libri compresi, altro che compiti per le vacanze. Fino al ginnasio andavo bene senza studiare granché, giusto il necessario ma dalla prima settimana di scuola al liceo, nel mese di ottobre, cambiò la musica. Versione di latino che andò malissimo, ma non l’ho capito subito; guardavo il compito pieno di correzioni e cercavo il voto: non c’era! Mi confronto con gli altri e niente, non c’era traccia di voti, solo delle lettere o delle vocali, allora guardo meglio cercando qualcosa di simile e trovo una “e” con a fianco un “-“: la mia valutazione era “e-“.
Capivo che era andato male, ma a cosa corrispondeva quella “e” col meno a fianco, proprio no. Guardo i compiti degli altri e c’erano altre lettere e altre vocali, boh. Dopo la consegna del compito fummo chiamati per la spiegazione, ma solo degli errori, non dei voti, quello rimaneva un segreto. Mi furono spiegati tutti gli errori, ho avuto la conferma che il compito era andato molto male, ma della lettera nessuna spiegazione.
C’era una discreta varietà di lettere ma del significato eravamo tenuti all’oscuro. Col tempo e con gli altri compiti in classe si ripeteva il protocollo; l’unica cosa che abbiamo evinto, dopo grande applicazione, era che si, quelle lettere erano voti. C’erano delle t, delle v, delle a, delle p e altre ancora; guardando il numero degli errori capivamo, intuivamo, che alcune lettere o vocali corrispondevano a voti alti altre, apposte su compiti con più errori a voti bassi. Un passo avanti ma l’arcano rimaneva. In più, cominciò ad insorgere un sospetto che divenne certezza nel giro di sei mesi, e che per me fu sconvolgente: il primo compito era stato fatto per rendersi conto del livello di ognuno e va bene, ma non era una semplice valutazione, era una condanna (per chi era andato male per gli altri una benedizione) e non si poteva cambiare, neanche studiando seriamente e impegnandosi. La mia lettera più alta è stata una “r” cioè un cinque: r =5? In che senso? La scoperta dei voti e delle lettere si fece grazie all’aiuto degli alunni di terza liceo. Si trattava di una parola segreta che ci fu svelata: “depurativo”. Una parola che conteneva dieci lettere e vocali tutte diverse, tante quante i voti, da uno a dieci! Dunque la mie “e – “ corrispondeva a un “2-“, la “ p”a “3” e via dicendo, la “v” a “9” . Ora potrebbe sembrare geniale ma a me è sembrato solo perverso, distorto e deviato; la parola in se aveva, inoltre, un vago, ma neanche tanto, sapore fascista. Infatti io sono stato depurato, perché la prima impressione era quella che contava. Gli sforzi per migliorare la mia situazione quasi inutili. Dopo avere raggiunto quel “5” ho deciso che non valeva la pena studiare e sforzarmi, non sarebbe cambiato nulla. Quindi ho reagito nell’unico modo possibile, cioè con una sana strafottenza e una decisa mancanza di rispetto nei confronti del professore che, pur essendo un grande latinista, provava in tutti i modi a farmi odiare il latino, non riuscendoci perché a me il latino piace ancora, alla faccia sua, e pure il greco! Non mi alzavo, quando entrava in classe mentre gli altri schizzavano in piedi, lo stesso quando venivano interpellati: il mio rispetto nei suoi confronti era zero e ci tenevo a farglielo capire perché non lo meritava. Queste erano le armi della mia ribellione di sedicenne. Col senno di poi gli direi semplicemente che il bravo insegnante dovrebbe se non farsi volere bene, almeno non farsi odiare. Soprattutto gli direi che un vero educatore deve amare ciò che fa, non soltanto ciò che sa.