
Ci conosciamo da tempo, ma per motivi di cui parleremo nel corso dell’intervista non è opportuno indicare il suo vero nome. La chiameremo Carmen, è siciliana e dal 2002 vive negli Stati Uniti. Nel 2009 è diventata cittadina americana, e oggi risiede con il marito in Florida.
Qual è stata la tua procedura per accedere al voto?
Nel 2009, quando ho votato per la prima volta, tutto è stato abbastanza semplice: appena ottenuta la cittadinanza mi è arrivata la comunicazione che potevo iscrivermi alle liste elettorali. Ho ricevuto a casa la tessera elettorale (voting registration card), ma prima di questo ho dovuto fare la mia dichiarazione di appartenenza. Infatti ogni elettore può dichiararsi democratico, repubblicano, indipendente o non affiliato a nessun partito. Solo nei primi tre casi si può partecipare alle primarie con cui vengono individuati i rappresentanti dei singoli stati alle convention per la scelta del candidato alla presidenza. Dopo che sono state ufficializzate le candidature, inizia la campagna elettorale vera e propria. In quest’ultima la lista dei candidati è formata da coloro che sostengono i diversi presidenti, ma il voto del popolo vale non in pieno, ma in percentuale dettata dalla rappresentanza dei candidati locali eletti precedentemente, cosiddetti “grande elettori” (Quindi se nella circoscrizione di residenza c’è una maggioranza dal partito opposto alla tua preferenza, il tuo voto non vale quasi nulla). Ed è per ciò che esistono due voti finali, il cosiddetto voto del popolo (che comunque non vale legalmente) e l’altro, detto “electoral”, che è quello che decide il presidente. Pertanto non si vota direttamente il presidente ma il cosiddetto “grande elettore” locale, che si è precedentemente espresso per uno dei candidati.
Spiegato così sembra tutto molto complicato, ed anche questa dichiarazione anticipata di appartenenza mi suona strana. Qual è stata la tua impressione?
La mia è stata una posizione privilegiata, in quanto ho avuto tempo per informarmi, strumenti culturali adeguati e occasioni di confronto con mio marito. E quindi sono entrata abbastanza velocemente nel sistema. La dichiarazione di appartenenza mi è sembrata molto naturale, simile a quando in Italia si prende la tessera di un partito, con la consapevolezza di poter cambiare posizione politica in qualsiasi momento.
Nel sistema elettorale l’elemento di maggior differenza rispetto all’Italia è l’estrema variabilità nei criteri e nelle norme di accesso al voto: senza scendere nei dettagli (gli stati sono 50!) ci puoi spiegare quali sono i principali criteri che stabiliscono la partecipazione o l’esclusione al voto nei vari stati?
Io ho sempre votato in Florida, ma mi sono fatta un’idea della logica dei diversi sistemi. Negli stati tradizionalmente repubblicani e conservatori, le norme sembrano concepite per rendere difficile l’accesso al voto. Con il pretesto di impedire a chi non ha diritto di votare si applicano regole molto strette sul controllo della firma o sulle procedure per il voto online o per posta (dove è permesso). Oppure viene escluso dal voto non solo chi si trova in carcere, ma anche chi ha già scontato per intero la sua pena. Bisogna dimostrare inoltre di aver pagato ogni debito con l’erario. Ma bastano sotterfugi molto più banali per allontanare le persone dalle urne, come fissare la data delle consultazioni in giorni infrasettimanali oppure istituire pochi seggi nei quartieri più popolosi, in modo che si formino lunghe code e molti rinuncino ad esprimere la propria preferenza. Tutte queste strategie sembrano concepite per impedire ad afroamericani ed in generale ai naturalizzati e alle persone con basso reddito di votare. In realtà il pericolo più grande per la certezza del voto viene da brogli organizzati dall’alto, piuttosto che dai pochissimi che hanno irregolarità nei requisiti di accesso.
E le cose stanno ancora peggiorando, purtroppo. Sono venuta a sapere attraverso canali diversi (la stampa “ufficiale” italiana non se n’è occupata) che è in fase di approvazione il Save act, ce lo puoi spiegare?
È un disegno di legge risalente alla precedente presidenza Trump, in cui per la prima volta si cerca di imporre una legge federale al di sopra della normativa dei singoli stati. Proprio per questo motivo questa norma non passò, e ovviamente con Biden venne accantonata. Il Save act prevede criteri estremamente rigidi e burocratici per ottenere il diritto al voto. Per il momento basta solo un documento (come la patente di guida) e un certificato per chi ha ottenuto da poco la cittadinanza. Con il Save Act devi avere più di un documento, ed uno di essi deve dimostrare che sei cittadino americano. Se hai il passaporto sei a posto, perché la sua concessione prevede già controlli molto accurati. Ma negli Stati Uniti solo una percentuale molto bassa di persone lo possiede, in quanto costoso, e molti non hanno mai viaggiato all’estero e non intendono farlo. Quindi per dimostrare che sei cittadino devi esibire anche il certificato di nascita oppure il certificato di cittadinanza. Sembra tutto facile e logico, ed invece non lo è, in quanto spesso nei due documenti i dati anagrafici non coincidono. Con il matrimonio la maggior parte delle donne sceglie di acquisire il cognome del marito, ed anche nelle coppie omosessuali uno dei due coniugi può decidere di farlo. È la logica “una famiglia, un nome”, per cui anche i figli “acquisiti” cambiano spesso cognome per prendere quello del nuovo marito della madre. E siccome qui si divorzia e ci si risposa con molta frequenza, immaginate la confusione. Ad esempio io ho ottenuto la cittadinanza quando avevo il cognome del mio primo marito, e quindi dovrei esibire anche il certificato di divorzio e quello del nuovo matrimonio. Ovviamente questo danneggia anche chi ha completato il percorso di cambiamento di genere. Ma anche chi ha una storia anagrafica più lineare avrà difficoltà a reperire il certificato di nascita, perché va richiesto nello stato dove si è nati, e negli Stati Uniti la mobilità è elevatissima, e non esiste l’abitudine di conservare gelosamente i documenti più importanti, dato che finora la burocrazia è stata ridotta al minimo. Donne, anziani, immigrati, trans saranno spazzati via dall’elettorato. L’unica speranza è che il provvedimento non passi per l’opposizione degli Stati, o della Corte Suprema. Ma ci credo poco.
Sento nella tua voce molta preoccupazione. Cosa ti spaventa di più?
Ogni giorno un provvedimento nuovo, che non avremmo mai immaginato, e non sappiamo ancora cosa ancora ci possa attendere. C’è un’enorme differenza con la precedente presidenza Trump, che si muoveva ancora nei canoni del rispetto generale delle consuetudini di libertà di una democrazia di lunga tradizione. L’arroganza e la velocità di questo cambiamento viene da Elon Musk, che non si è potuto candidare direttamente come presidente in quanto la norma prevede che si sia nati negli USA. Senza essere stato votato da nessuno si è insediato come Department of government assistant (consulente) e da questa posizione domina indisturbato. Per diminuire i costi dell’amministrazione pubblica sta eliminando i lavoratori considerati inutili: chi lavora per il governo con una posizione temporanea, neoassunti, civili impiegati nell’esercito, e tutti coloro che non rispettano presunti criteri di efficienza e produttività. Questo apparente sparare nel mucchio serve solo a confondere le acque per colpire i veri obiettivi, come afroamericani o appartenenti ad altre minoranze etniche e culturali. Inoltre il controllo delle comunicazioni e dei social rende facilissimo individuare le voci fuori dal coro, per non parlare di quelli che, come abbiamo detto prima, hanno preventivamente dichiarato la loro affiliazione ad un partito diverso. Per questo preferisco che il mio nome non risulti. Non avevo mai pensato di ritornare in Italia, ma in questo momento possedere anche il passaporto bordeaux oltre a quello verde è l’unica speranza di un piano B che intravedo.
Bell’articolo, anche se sconvolgente.