
Cercherò di descriverlo come meglio posso. Perché ci si potrebbe far prendere la mano da una certa pruriginosa retorica, oppure annegare in sentimentalismi diabetici.
E io invece – da quando sono rientrato – mi sono annodato in un silente garbuglio.
Quindi dirò e non dirò. Rifletterò e racconterò a inchiostro basso.
(e dopo queste quattro righe, mi sono già fermato)

Quando ho messo piede all’interno del Centro Amani di Morogoro, in Tanzania, pensavo di sapere che cosa mi aspettasse. Il Centro Amani di Morogoro, quartiere Chamwino, accoglie bambini disabili. Molti di loro orfani. Alcuni di loro in stato di incoscienza assoluta. Troppi di loro sordomuti.
Ecco, io pensavo che la compassione, e quella certa presunzione di ineludibile sostegno, quell’egoistico e inutile pietismo, avrebbero potuto delinearsi come sentimenti (sentimenti?) prevalenti.
Niente di tutto questo.
Già al secondo giorno ho compreso che questa mia esperienza sarebbe servita dal momento in cui non mi sarei più voltato dall’altra parte guardando un bambino contorto sulla sua sedia verde, di plastica sbiadita dal sole, fingendo una indifferenza che di fatto non provo.
E che mai ho provato.
E che, soltanto in quell’esatto momento, mi sarei sorpreso (o anche no) fuori da me stesso. Oltre i miei preconcetti. Al di là dei miei schemi da buonuomo occidentale.
Mi spiego.
Ho compreso con lenta progressione d’istanti, in mezzo a quel normale, sereno dolore (consapevole o meno) d’ogni giorno, che bisogna uscire completamente da se stessi.
Perdersi. Diventare niente, un infinitamente piccolo, un pressoché invisibile, per sé e per gli altri, per riuscire a sentire davvero gli altri, tutti gli altri, nel proprio intimo, nel profondo.
E quando il distacco è avvenuto definitivamente, quando l’annullamento di sé s’indistingue negli altri esseri che si muovono intorno, solo allora ci confondiamo nell’umanità vera.

“Ardere d’inconsapevolezza”, come scrisse il poeta Ungaretti.
Questi piccoli angeli vivono al di là d’ogni dimensione reale. E non lo sanno, ma è così.
(c’è una luce in ognuno di questi bambini, un riflesso che solo superficialmente proviene dall’esterno, dalla strada, dai gesti altrui. La luce che proviene dall’interno è per pochi, per esempio per quelli che riescono ad ascoltare il silenzio, e a leggerci dentro molto più delle parole che faticano a venir fuori)
Questi piccoli angeli caduti in terra, storti, spezzati, muti, pieni di vita e di curiosità, non mi hanno mai fatto sentire un diverso, un estraneo, non mi hanno mai lasciato spazio per guardarli dall’alto, per osservarli da lontano. Non mi hanno mai concesso tempo per qualcosa che somigliasse a una commiserazione, o il benché minimo spazio per accovacciarmi da solo in un angolo a compiangere.

Me ne stavo seduto sul filo smarginato d’un gradone, e un bimbo senza nome mi guardava. Coi suoi occhi indipendenti, la sua testina irregolare, i suoi arti come rametti secchi d’una acacia spezzata.
Gli ho fatto una carezza, mentre intorno era uno schiamazzo festoso di palloncini e di rincorse. Si è tolto le dita dalla bocca, e mi ha preso la mano, portandola in sospensione sopra la sua testa e muovendomela in modo che non riuscivo a capire.
(non c’era niente da capire)
Ero libero di muovere la mia mano, le mie dita, ma sopra la sua testa, davanti ai suoi occhi. E ovunque, in volo. E lui seguiva quella danza della mia mano, un po’ farfalla e un po’ nuvola di vento, e quando la mia mano si abbassava troppo davanti ai suoi occhi, lui la stringeva e la riportava in alto.
Dopo un poco, ha iniziato a muoversi piano, senza senso, avanti e indietro, si avvicinava e si allontanava in quel suo moto contratto e libero: allora mi guardava di traverso, mi riafferrava la mano con le sue minuscole dita, e la spingeva di nuovo su.
(dita di saliva)
Questa danza è andata avanti per non so quanto.
Finché non ha iniziato a compiere un giro su se stesso, mentre muovevo le mie/sue dita come arpeggiando l’aria. E infine ha fatto un primo giro, e poi un altro mezzo giro, sempre fissando la mia mano.
Allora ho sorriso. La mia mano volante era riuscita a farlo danzare.
E lui è stato il primo ad accorgersene, e si è rimesso le dita in bocca e ha gioito, contraendosi in saltelli ebbri.
Abbiamo danzato così anche nei pomeriggi a seguire. Ci siamo ritagliati dei momenti di libertà insieme. Abbiamo condiviso una gioia soltanto nostra, ma che altri bambini hanno osservato in silenzio.
Veronica e Abraham si sono seduti accanto a me, col loro palloncino.

(In questo ricovero di piccoli angeli caduti, ho sperimentato il silenzio. Ogni bambino qui parla il proprio silenzio. A gesti, a sorrisi, a smorfie. Correndo, osservando, allontanandosi. Con gli occhi, chinando il capo, tirando su con il naso.
E sono riusciti a farmi parlare, aprire, senza dire.
È nel silenzio che arriva ogni messaggio, ogni emozione, ogni inesprimibile pensiero. Ogni verità, ogni dubbio. La più profonda comprensione. Il sentimento più impercettibile)
La sera dei saluti non penso che i bambini – non tutti – abbiano compreso che l’indomani non sarei tornato.
INDOMANI per loro non esiste. Esiste la felicità di incontrarsi adesso. Esiste l’istante in cui stiamo insieme, e tutto il resto del tempo è niente. Non è che una convenzione. Non è nostro.
Quel salutarli è un gesto che appartiene a me, non a loro e a questa loro impalpabile dimensione sospesa.
Il mio piccolo Danza-con-la-mano se ne stava seduto a terra. Non ho capito se la giovane donna che gli ha portato il piatto con polenta e fagioli fosse sua madre, o una delle mamme di Chamwino che si prendono cura di questi bambini.
Mi sono abbassato a salutarlo. Gli ho fatto danzare la mano davanti agli occhi. Mi ha fissato con una contrazione del viso che sembrava un cenno d’intesa. O chissà. Poi, ha continuato a mangiare.
(non so neppure come si chiami. Ma mi importa davvero?)
Una giovane suora, con un kanga lungo i fianchi, mi ha sussurrato ‘Shikamoo’ per lui.
È una forma di benedizione dei bambini.
Ho risposto ‘Maharaba’, ma a malapena.
(non me ne sarei andato)
Ho letto durante 15 minuti di ricreazione, quando arriverò questa sera a casa lo leggerò ancora più attentamente, grazie di questa condivisione, un abbraccio forte
Grazie per esserci…
Mille emozioni suscitano le tue parole, caro Peppe, riesci a fare vivere questi tuoi incontri come nostri, ci sembra di scambiare sguardi, gesti, incroci di dita, sorrisi, come se fossimo un po’ anche noi, lì, insieme a te e a queste anime belle.
Giuseppe, i tuoi pensieri, le tue emozioni arrivano dritti a toccare le corde più profonde e smuovono, fanno riflettere … Ogni volta che leggo qualcosa di tuo è così!
Grazie per aver condiviso con me questo frammento di Africa. Sempre di più mi convinco che il mondo sta andando all’incontrario 😥
Ciao Roberta!
Sì, il mondo va decisamente all’incontrario.
Ma quando le anime belle si incontrano ancora. Per caso, per incroci e coincidenze. Ma ecco, si riconoscono e si percepiscono, grazie al cielo.
Ti abbraccio
Giuly… che dirti??
Mi conosci e mi segui da sempre.
Non devo aggiungere altro…
Peppuccio sei un grande… pensavo …. ma un giro da quelle parti a quei merdosi che fanno le guerre pensi servirebbe?
Gigi,
Tu conosci meglio di me certe realtà.
Pensi che certa gente cambierebbe?….
Quelli come te percepiscono tutto. Ma chi muove fili del mondo è tarata per essere repellente…
È commovente la delicatezza con la quale hai descritto un piccolo vostro rituale quotidiano all’interno di giornate scandite da tanti altri attimi condivisi con i vostri “angeli caduti”.
Con le tue parole sei riuscito a racchiudere perfettamente quella che è stata l’essenza stessa della tua (e vostra) esperienza ad Amani. Avendo vissuto da vicino Chamwino, posso solo immaginare quanto siano complesse le sfide quotidiane per i bambini del Centro e per chi, come voi, sceglie di esserci con amore e passione. È proprio questo che rende così preziosa la vostra presenza: un gesto d’amore concreto, che lascia il segno.
Grazie Sergio!
Che fortuna avervi incontrati.
E hai conosciuto la realtà di Chamwino.
Un abbraccio a te e Lucia
Peppe un GRANDE!!! L’ho sempre pensato…dal primo giorno che ho avuto la fortuna di conoscerti Uomo dal cuore immenso….mi spiace nun ci né ppi nuddu😅😘🤩
❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️
💕💞cuore d’oro ….Sei un GRANDE! UN TESORO per questi bambini
Ho aspettato di tornare a casa dal lavoro per leggere con calma. Come sempre mi fai ri-prendere coscienza di cosa è davvero importante dopo una giornata di sbattimento dietro l’irrilevante. E la tua scrittura è sempre stimolante. Grazie
Grazie Salvo!
La sensibilità è anche quella di chi riesce a percepire, a cogliere queste cose.
Ti abbraccio, e grazie….
Quando ti leggo, mi sento bene.
Mi accompagni per mano in luoghi e situazioni che conosco e mi emozionano. Ma tu sai sempre aggiungiungere un’emozione nuova… Grazie Peppe !
Annuccia….. le uniche parole che mi sono uscite dopo il viaggio.
E tu mi conosci bene…
Fantastico come sempre. Per questi minuti in cui ho letto queste righe, è stato come se anch’io fossi lì.
Bellissime parole, fantastiche descrizioni…. complimenti 💯
Grazie Melania.
Questo posto magico sarebbe adatto anche a te.
Grazie come sempre