Provate per un attimo a fermarvi, a mettere da parte qualunque cosa stiate facendo in questo preciso momento, chiudete gli occhi e cercate di immaginare Donald Trump, o, per giocare in casa, Sergio Mattarella, che accoglie un ospite sulla soglia del proprio Palazzo di rappresentanza senza porgere la propria mano per stringerla a quella dell’omologo di giornata. Può darsi che ad alcuni questa immagine non rechi particolare suggestione o stranezza (d’altronde abbiamo vissuto due anni di emergenza sanitaria dove alle strette di mano abbiamo dovuto preferire le mani sul cuore), ma devo dire che, pur sforzandomi, non riesco proprio a immaginare un summit diplomatico, come anche un banale incontro tra potenti, senza quel gesto così abituale ma così importante che è la stretta di mano. Infatti da quando l’uomo ha preso effettiva consapevolezza delle infinitè possibilità funzionali delle sue mani, almeno credo, il modo più chiaro e riconoscibile che ha adottato per approcciarsi con i suoi simili è stato senza dubbio quello di stringersele l’un l’altro. Una tradizione antica, che ha attraversato i secoli e unito le generazioni, sia fra di loro che dentro di loro, e che ancora oggi riveste un ruolo fondamentale nelle relazioni sociali e non solo. Nel corso degli anni si sono sprecati gli studi psicologici su quanto la nostra stretta di mano dica della nostra indole e personalità, ma a mio modo di vedere è impossibile indagare la vera natura di un preciso costume senza partire dalle origini del costume stesso, e quindi, per noi che siamo figli di Maratona e Azio, dalla tradizione classica. Il termine che indicava la stretta di mano al tempo di Platone e Aristotele era “dexiosis”, cioè “darsi la mano destra”: la mano destra era infatti quella con cui solitamente si impugnavano le armi, e porgerla libera ad un’altra persona indicava la volontà di inferfacciarvisi senza intenzioni bellicose. Pratica abbastanza diffusa insieme a quella della tipica stretta di mano era quella della stretta dell’avambraccio destro, funzionale ad una veloce verifica da parte dei due dialoganti del fatto che pugnali o spadini non fossero celati tra le pieghe della tunica altrui. È inutile cercare di negarlo, guardare pochi minuti di un comune telegiornale ci basta per capire che il significato di questo gesto è rimasto praticamente invariato anche ai giorni nostri, e soprattutto ci basta per comprenderne l’enorme importanza dal punto di vista diplomatico. La storia contemporanea ci ha ormai abituato al fatto che i trattati di pace, più che con carta e penna, si firmano soprattutto con i gesti, con i simboli, e la stretta di mano è senza dubbio il più eloquente tra questi. Chiamiamo a testimoniare le pagine del più comune sussidiario scolastico, nelle quali sicuramente ci potremmo imbattere in Bill Clinton che “benedice” la storica stretta di mano tra Yithzak Rabin e Yasser Arafat, suggello degli accordi di Oslo (1993), o, per giocare in casa, nella famosissima foto della stretta di mano tra Aldo Moro e Enrico Berlinguer, simbolo di una generazione che tanto ha sperato nel compromesso storico, quanto ha pianto le conseguenze di una scelta mai decollata ma che è stata capace, per antipatie altre, di uccidere e di terrorizzare un intero Paese. Questo gesto così antico può quindi fregiarsi del titolo di unico spettatore del cambiamento epocale che l’arte della diplomazia ha subito nel corso dell’ultimo secolo. Non solo la stipula di trattati di pace o di accordi commerciali, ma anche una semplice visita istituzionale è diventata l’occasione che ogni leader mondiale ha per misurarsi in una singolare prova di forza con un proprio collega. Ogni gesto, ogni sguardo e ogni parola deve essere pesata con precisione, poiché in un mondo dove nulla sfugge all’onnipresenza della rete e dei social anche un sorriso può far precipitare le relazioni diplomatiche tra due Paesi, e, paradossalmente, scatenare una guerra. Caso studio per i sociologi e gli psicologi è senza dubbio quello di Donald Trump, che da quando è tornato ad occupare lo Studio Ovale nel gennaio di quest’anno, sta diventando, giorno dopo giorno, l’esemplificazione vivente di quanto detto. Ogni incontro diplomatico, come anche ogni singolo post, è diventato una occasione per mostrare i muscoli, e per glorificarsi di una grandezza che ha il solo obiettivo di incutere timore a chiunque voglia interfacciarsi con l’America. Bastano la vigorosa stretta di mano, quasi un braccio di ferro, tra il Tycoon, alla sua prima gita fuori porta, e il presidente francese Macron, in occasione della riapertura della Cattedrale di Notre – Dame, nel dicembre scorso, quando Trump non era ancora ufficialmente entrato in carica, o ancor più banalmente (mi si perdoni la divagazione) il ritratto ufficiale del suo secondo mandato, che dal venti gennaio ha portato negli uffici e nelle scuole dell’intero Paese il volto incarognito e corrucciato di un ottantenne che gioca a fare il padrone del mondo. Una partita a scacchi che lo vedrà impegnato per questo quadriennio, e che, come ogni vicenda politica che si rispetti, è iniziata (e finirà) con una stretta di mano. 


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