Stavo sognando nuovamente… forse. Questa volta ho il tempo di afferrare l’eco delle ultime note, come un filo di seta che esce dalla cruna. Resto qualche istante immobile, in attesa di una nuova sonorità nel mezzo del mio torpore. Stavolta sono proprio sicuro di non aver sognato, ho perfino più o meno capito da dove veniva la musica. Non erano che brevi accordi, molto distanziati, attutiti da corridoi ingombri, forse cancellati dal mio sonno. Guardo l’orologio, le tre e mezza. Più che l’ora o il luogo sconosciuto da cui nasce questa musica, è il suo distacco che mi sorprende. La sua bellezza mi attira, tutto pare illuminarsi di una verità che non ha bisogno di parole, come una scintilla che brilla dinanzi alla mia fragilità. Mi alzo dal letto, attraverso una sala e salgo una vecchia scala di legno. A tentoni raggiungo una grande vetrata. Il buio è totale. Faccio scorrere la mano sul muro, inciampo in una pila di libri che si alza dal pavimento. Sento ancora quella melodia, guidato dal suono, spingo una porta e mi ritrovo in un corridoio dove filtra un po’ di luce. Arrivo ad una stanza ancora più ingombra di libri, pile di libri dappertutto, librerie colme. Mi avvicino come per riacciuffare la coda del mio sogno. Vedo un uomo di profilo, è seduto davanti a un grande pianoforte a coda, un’altra pila di libri accanto alla sua sedia. Indossa un cappotto lungo e scuro. Una candela poggiata a sinistra della tastiera gli illumina le mani. Le sue dita non sembrano quelle di un musicista, sembrano ruvide, scolpite, coperte di rughe. Quelle dita si spostano sulla tastiera quasi senza appoggiarvisi, segnano pause, si accalorano, accelerano come in una corsa silenziosa, si precipitano come in una fuga febbrile, si sente quasi il loro tocco sui tasti. All’apice di questo frastuono, una mano, non dominandosi più, si abbatte con impulso ancora maggiore sulla tastiera in un’esplosione di note. Vedo che l’uomo, forse divertito dalla sua stessa mano, si interrompe, non suona più, si lascia andare come ad una triste risatina soffocata. Alza perfino la mano e se la mette sulla bocca, come stupito da ciò che ha fatto. Di colpo, capisco che piange. Indietreggio a passi incerti per trovare la porta d’uscita, ma un mio piede urta una pila di libri che si rovescia rumorosamente. Vedo allora che la candela si sposta nella mia direzione. Vedo l’ombra dell’uomo che mi guarda, silenzioso, abbassa lo sguardo ai miei piedi come per scrutare la pila di libri caduta a terra. Altro silenzio. L’uomo spegne la candela con un soffio, sento il rumore dei suoi passi titubanti per la stanza. Non riesco a proferire parola, provo nuovamente a cercare la maniglia della porta d’uscita, non la trovo. A questo punto mi fermo e decido di chiedere chi sia e dove siamo. Apro la bocca ma non esce nessun suono. Mi sveglio. Era nuovamente quel sogno.

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