Bobby e Alicia si amano. Bobby è legato ad Alicia da un amore devoto e contemplativo, intriso di un senso di perdita e di peccato. Alicia non ha che Bobby. È il suo sogno romantico ed erotico, l’unica ragione per cui lei viva. Quello di Bobby e Alicia è un amore impossibile. Di cognome si chiamano entrambi Western e sono fratello e sorella.

Bobby e Alicia Western (il loro è un classico cognome parlante, che evoca una condizione crepuscolare che dai personaggi dilaga a un pezzo di mondo) sono rispettivamente i protagonisti di Il passeggero e Stella Maris, i due libri che concludono la carriera di scrittore di Cormac McCarthy, scomparso quasi novantenne nel giugno del 2023. 

Nei due romanzi i fratelli si scambiano le parti da protagonista, illuminandosi in maniera reciproca di lampi di conoscenza e consegnandoci quello che inevitabilmente possiamo (dobbiamo?) considerare come il testamento letterario dell’autore americano.

Il Passeggero è ambientato nel 1980 e vede l’ex fisico teorico e pilota di Formula 2 Bobby Western con il cuore straziato dal suicidio della sorella. Di questa perdita si sente in parte responsabile, per non essere stato capace di assecondare il profondo e reciproco desiderio incestuoso che lo legava ad Alicia. Bobby è un sommozzatore specializzato e si trova coinvolto nel recupero di un relitto aereo in cui tutti i passeggeri sono morti, meno uno che manca all’appello. Ben presto il protagonista, per un qualche misterioso affaire che lo coinvolge a sua insaputa si ritrova in fuga, braccato da inquietanti agenti federali e “non accusato di niente, ma solo in arresto”. Siamo dalle parti di Kafka, si potrebbe sospettare, ma vedremo che non è così.

Ne Il passeggero i fili portanti della narrazione vengono abbandonati, sfumano e si contraddicono. I dialoghi di Bobby sono eclettici e variano dalla matematica pura alla letteratura, dallo sport alla fisica quantistica e investono una costellazione di personaggi memorabili (uno zio degenerato, un detective ebreo, un dandy) tra cui spicca per tenerezza il transessuale Debussy. Nella fuga e nel suo lento perdersi, Bobby ha accesso al mondo dei morti, alla chiaroveggenza, alle allucinazioni della sorella di cui è protagonista uno strepitoso nano focomelico che allestisce spettacoli da saltimbanco, puntualmente frustrati dalla mancata collaborazione di Alicia, spettatrice fin troppo smaliziata. Il finale del romanzo è, come spesso in McCarthy, struggente, sospeso e dolente.

Alicia è invece la protagonista di Stella Maris. Il titolo riprende il nome dalla clinica dove la ragazza si trova volontariamente ricoverata per guarire dal suo disagio psichico, ma le allusioni mariane e la metafora della stella polare sono scopertissime. La trama del romanzo è pressoché inesistente e scoraggia volutamente qualsiasi valutazione estetica: Stella Maris si svolge tutto in una stanza ed è la trascrizione dei dialoghi avvenuti nel 1972 tra Alicia Western e il dottor Cohen, lo psichiatra che l’ha in cura. Il romanzo si presenta quindi scritto come un verbale o una cartella clinica. Ma in quel succedersi di domande e risposte, affondi e parate, Alicia dispiega tutta la sua potenza di fuoco dialettico, il suo virtuosismo disperato e autodistruttivo da suonatrice di violino (strumento di cui è un’esperta mondiale). Ad una lettura più attenta, tuttavia, ho avuto l’impressione che Stella Maris possa leggersi anche come una mappa per muoversi all’interno de Il passeggero, la sua stella polare, appunto. E il dottor Cohen non è un personaggio meramente strumentale o, al massimo, uno sparring partner. Si rivela più come il collaboratore di un mago che dietro le quinte prepara i trucchi e gli effetti speciali all’artista. Perché Alicia è un’artista del pensiero matematico e filosofico. 

Al centro delle sue dolentissime riflessioni c’è l’idea che la realtà sia mossa da un motore malvagio votato all’annientamento di tutto ciò che ha creato e che la nostra natura più intima sia stata ad un certo punto corrotta dalla scoperta del linguaggio, che è simile a un’invasione parassitaria. Nella sua visione pessimistica della realtà la parola, con la sua pretesa di definire e categorizzare, soffoca l’inconscio e ci allontana dalla vera conoscenza di noi stessi e del mondo. «Per un bel po’ di milioni di anni il cervello se l’era cavata piuttosto bene senza. L’arrivo del linguaggio è stato come l’invasione di un sistema parassitario.» e ancora: «[…] il sistema di guida inconscio ha milioni di anni, la parola meno di centomila. Il cervello non aveva la minima idea di quello che lo aspettava. L’inconscio dev’essere stato costretto a fare carte false per agevolare un sistema [il linguaggio] che si dimostrava del tutto inesorabile. [L’inconscio] è perfettamente in grado di suggerirci le risposte…»

E mentre attira l’attenzione su di sé ubriacandoci di parole, ragionamenti e chiasmi, Alicia sabota il suo stesso gioco svelandoci il destino del fratello, un uomo che non ha mai avuto paura di nulla – ci dice -, tranne che di andare sott’acqua e che, al tempo del dialogo, si trova in coma in seguito a un incidente d’auto.

Pur non trovando nel testo un’autorizzazione esplicita a giungere alle conclusioni che seguono (e quindi non state per leggere uno spoiler, ma una proposta di interpretazione) ho trovato suggestivo pensare che l’arresto in cui si trova Bobby sia quello della vita biologica e gli accadimenti che lo vedono protagonista (a partire dalla professione di sommozzatore che a questo punto si rivelerebbe come del tutto simbolica) non siano altro che contenuti mentali che agiscono senza il linguaggio, durante il coma. Il muoversi angosciante, letargico, oscuro e dissociato de Il passeggero dipende dalla lesione cerebrale del protagonista, una condizione che apre tuttavia anche ad esperienze prodigiose in cui la frontiera tanto cara a McCarthy non è più quella dei cowboy, delle praterie e dei deserti polverosi, ma quella della conoscenza. In questa esperienza che lo astrae dal resto degli uomini Bobby è appunto un passeggero, il protagonista che dà il titolo al romanzo.

Il sogno, le allucinazioni, il coma, le esperienze che avvengono in una realtà separata dal linguaggio, sono dunque lampi che illuminano la Verità del Mondo. Una Verità a cui Alicia ritiene di poter avere accesso anche tramite l’amore per l’unica persona che lei ritiene degna, il fratello. Ma sull’uscio di quella porta il linguaggio ha fatto calare la pesante grata della parola incesto e le preclude la Verità o quanto meno la consolazione. Il cuore del Mondo, come quello di Alicia, è dunque assemblato da sostanze e materiali che con il linguaggio non si possono dire. E che solo un maestro come McCarthy poteva trasmetterci, scarnificando il linguaggio e la materia del romanzo fino a trascendere la Parola.

2 commenti

  1. Una lettura penetrante e leggera, elegante, direi, che si muove agilmente fra realtà è simboli dei due romanzi complessi e complementari : giusta infatti mi pare la definizione del secondo come “mappa” del primo. È bello l’insistere sul tema del linguaggio come colpa originaria dell’uomo (“incestò” è parola chiave), da esso sottratto alla sua remota inconscia naturalità. Anche “verità “? Su questo amerei discutere.

  2. Una lettura penetrante e leggera, elegante direi, dei due romanzi complessi e complementari ,essendo il secondo giustamente detto “mappa”del primo . È suggestivo il tema del linguaggio ( centrale la parola”incestò”), che sottrae l’uomo alla sua remota inconscia naturalità, viva nelle allucinazioni del delirio e nel “canto notturno”=dei sogni. È quella la verità? Il recensore suggerisce, non dice, nè può.

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