Non sono nuova alle interviste di coppia. Circa un anno fa ho raccontato la storia del sogno di due giovani che, con un pizzico di incoscienza e tanta determinazione, sono diventati videomaker, anzi documentaristi, ed hanno già ricevuto importanti riconoscimenti.
La coppia che incontro oggi usa le mani in due ambiti artistici molto diversi: Enrica Nigrelli, romana, è un’artista della ceramica, mentre il marito Eduardo Notrica, di origine argentina, è maestro o direttore di coro. Li ho conosciuti qualche anno fa, altro dono incredibile di quel magico bussolotto che è lo scambiocasa, e di cui ho parlato in un altro articolo. Vivono tra Roma e il loro buen ritiro di Giove, in provincia di Terni, dove hanno una casa immersa nella campagna tra l’Umbria e il Lazio. 
Hanno un rito irrinunciabile, ovvero assistere, sacralmente, alle rappresentazioni classiche di Siracusa. E così anno dopo anno tornano in Sicilia, dove ci siamo conosciuti e hanno lasciato un  pezzo del loro cuore.
Abbiamo avuto un po’ di difficoltà per incrociare i miei tempi ai loro, ma alla fine li ho acciuffati singolarmente, per comprendere il loro rapporto con le proprie mani.

Come e quando hai scoperto che il futuro era nelle tue “mani”?
Enrica. La mia è stata una riscoperta tardiva, avvenuta dopo i 30 anni, in seguito ad un importante cambio di vita. Parlo di riscoperta perché la manualità è stata una parte importante della mia formazione, in quanto ho potuto frequentare una preziosa  scuola elementare montessoriana, fondata da Clotilde Pini, diretta allieva di Maria Montessori. La formazione attraverso la manipolazione e il contatto diretto con la materia è stata essenziale, ed ancora tra i compagni di classe con cui sono in contatto riscontro una comune tendenza alla creatività. 
Da 15 anni ho avviato la mia attività, Il baule, nata prima come luogo di produzione di ceramiche artistiche, poi di esposizione, e ora è diventata luogo di incontro ma anche di docenza, dove tengo sia laboratori per bambini, ma anche per adulti che vogliono fare esperienza di creatività, ma anche per professionisti che intendono perfezionare il proprio linguaggio artistico.
Eduardo. Dopo aver studiato chitarra classica e canto corale ho scoperto che potevo produrre e trasformare il suono attraverso le mani, senza bisogno di toccare alcuno strumento.  Questa tecnica prende il nome di chironomia, ovvero l’insieme dei gesti manuali con cui il  direttore guida l’esecuzione polifonica di un pezzo. 

Esiste un’intelligenza delle mani? Se sì, come la definiresti?
Enrica: Sicuramente esiste una memoria delle mani, ovvero la loro capacità di riprodurre in maniera quasi autonoma un gesto ripetuto nel tempo. E non è solo una questione di velocità, ma anche possibilità di rielaborazione autonoma. A volte mi sorprendo di fronte ad effetti e risultati imprevisti ed inattesi. Alcuni mi dicono che dipende dal fatto che io abbia una buona manualità: a questi rispondo che tutti abbiamo manualità, bisogna avere solo il coraggio di lasciarsi andare, la voglia di sperimentare e la pazienza di accogliere anche i fallimenti e le resistenze della materia.
Eduardo: Per diventare direttore devi possedere la capacità di visualizzare il suono e trasformarlo in movimento, gesto. Prima si studiano le basi tecniche di movimento, che poi vengono personalizzate dal singolo interprete. Un po’ come la scrittura, che deve rimanere comprensibile a chi legge, ma che porta con sé la personalità di chi scrive, in maniera istintiva e automatica. 

Ora è il momento di una domanda specifica per ognuno di voi. Eduardo: nel tuo lavoro quanto dipende dalle tue mani e quanto dalla postura e dalle altre soft skills?
C’è molta differenza tra il mondo della direzione d’orchestra, molto più tecnico, e quello della direzione del coro, in cui ci deve essere maggiore empatia. 
Un direttore d’orchestra può essere sostituito, e può dirigere anche con pochissime prove, mentre il direttore di coro cresce insieme ai suoi coristi,  creando un vincolo affettivo. Questo legame risulta ancora più forte dell’agonismo che è il collante nel rapporto tra il coach e la sua squadra. Direttore e coristi hanno bisogno reciprocamente l’uno degli altri per esprimere l’universo creativo che è dentro di loro. Il problema è che spesso si confonde la capacità di fare squadra con la competenza tecnica che rimane indispensabile.

Ad Enrica chiedo: c’è più lavoro manuale o più processo di ideazione concettuale nelle tue creazioni?
Nello sviluppo di un nuovo tema, come è stato per il ciclo dedicato ai pesci o agli universi, c’è molto di ideazione e di sensibilità, oltre a tanto lavoro di studio grafico. Cerco di non essere mai ripetitiva: nelle mie creazioni provo sempre a trasmettere la mia personalità e il mio vissuto emotivo. Talvolta lavoro anche su commissione: all’inizio provo un senso di costrizione, il peso di dover rispondere alle richieste del cliente. Ma poi anche questa diventa tensione creativa: se qualcuno ha scelto me vuol dire che apprezza il mio linguaggio artistico, che si fida di me, e allora il pezzo diventa la materializzazione di un rapporto, di una relazione, di un dialogo e può diventare ancora più interessante. 

Ultima domanda per entrambi: hai mai pensato di sperimentare un altro tipo di creatività usando le mani?
Enrica: Ci ho pensato molte volte, e proprio ora sto esplorando la tecnica dell’incisione. Le origini remote di questa tecnica si intrecciano con quelle della ceramica e per questo mi sono incuriosita. Ho sperimentato anche la pittura, ma ritengo che il gesto lento, studiato, che produce il suo effetto solo dall’incontro tra la carta e il materiale inciso, attraverso il tramite dell’inchiostro, sia più interessante
Eduardo: Secondo me cucinare è un’attività molto creativa e che necessita di buona manualità. Le mani sono lo strumento che permette di unire sensi diversi: oltre al tatto, la vista, l’olfatto ed ovviamente il gusto. Se si prova a cucinare con la dovuta attenzione a tutte le sensazioni correlate il risultato sarà sorprendente. 
Riuscire ad unire sensi differenti amplifica l’esperienza, come quando si assiste ad un concerto dal vivo e si uniscono i sensi della vista e del suono e c’è anche l’aspetto sensoriale di percepire il movimento, a differenza di quando si ascolta una registrazione, anche se ottima. Ci sono addirittura alcuni cori che prevedono una gestualità molto forte anche dei coristi, come nel gospel americano e nella murga della tradizione latino americana (diffusa in Brasile, Argentina e Uruguay). 
In questi casi ascoltare senza essere presenti alla loro energetica interazione con lo spazio è come dire di conoscere un piatto…che hai visto solo in televisione!

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