Parlando di Raymond Carver (1938-1988) come di «una cometa senza coda, la cui comparsa e il cui impatto sono comunque innegabili», ci piace pensare che, nel presentare al pubblico la raccolta postuma All of us. The collected poems (1996) (trad. it. Orientarsi con le stelle, Minimum Fax), la moglie Tess Gallagher abbia voluto rimarcare l'assenza che nutre il sentimento - cifra di Emily Dickinson, tenera narrazione dell'attesa di una madre che porta un figlio in grembo, come in Olga Tokarczuk - anche quando l'oggetto d'amore non appartiene più al presente, pur continuando a splendere.
A lei si devono il contributo alla diffusione dell'opera, la seconda vita dopo l'alcolismo, il sostegno alla ricerca dell'essenzialità, la testimonianza che sin dal 1957 la poesia non era un distratto intervallo tra un racconto e l'altro, ma piuttosto «la corrente spirituale da cui muoveva per scrivere i suoi racconti, grazie ai quali, dopo la morte, sarebbe stato definito dal Guardian di Londra il 'Cechov americano'». E se alcune voci della critica moderna l'hanno approssimata alla religiosità, tuttavia la sua poetica rimane laica, improntata al contesto sociale dei personaggi e al conflitto tra umano e disumano, come concorda il traduttore italiano Riccardo Duranti, attribuendo la fortuna di Carver in Italia anche all'elezione a modello dei suoi racconti nelle scuole di scrittura, dopo la pubblicazione di Il mestiere di scrivere (Einaudi 1997, a cura di R. Duranti e W. Stull). Più che figurare redenzione e speranza, Carver conosceva ormai la stabilità dell'affermazione letteraria, dopo lo strenuo impegno nell'inseguire il desiderio di scrivere tra le difficoltà economiche, nella prima parte della propria vita.
Ma cosa c'era negli scritti di Carver e cosa lo ha consacrato tra i classici della Letteratura? C'è innanzitutto l'America, il disincanto del sogno che avevano conosciuto anche i suoi antenati scozzesi-irlandesi, spostandosi verso gli stati del Nord Ovest. Ci sono individui disorientati, confusi, imperfetti e disagiati - tanto da non potere pagare l'affitto, il tecnico per il frigorifero guasto o il medico - che si muovono in un'atmosfera allucinata e sospesa in cui non c'è soluzione ai problemi, perché la scrittura non deve ingannare con le parole, ma fornire gli elementi necessari alla storia. L'esplorazione dei tempi morti è affidata al minimalismo, alla prosa asciutta e nuda, perché il compito della letteratura è scoprire la realtà, l'invisibile movimento della vita. Questa rivelazione gli si offrì a diciassette anni, imbattendosi nella biblioteca privata di un cliente, mentre lavorava come fattorino per un farmacista per aiutare la famiglia. Non aveva mai visto tanti libri insieme, l'anziano proprietario gli regalò delle riviste letterarie e Carver cristallizzò questo momento nei versi di Stella Polare, riconoscendo in sé un destinatario della luce della poesia.
«Ho sempre sostenuto che la poesia, per gli effetti che ottiene e per il modo in cui è composta, sia più vicina al racconto di quanto il racconto lo sia a un romanzo» - dirà lo scrittore in un'intervista nel 1984, spiegando la comune compressione del linguaggio e delle emozioni nei due generi. La naturalezza esclude l'elaborazione consapevole e la precisione delle immagini amplifica l'immediatezza narrativa dei versi: la poesia è un modo più veloce per raccontare una storia, o più di una ogni giorno, e per relazionarsi con il passato, anche con un atto immaginativo, inventato. Passare da un genere all'altro, dunque, è piuttosto naturale, anzi per tutta la vita Carver si sentirà poeta più che scrittore, fedele alla brevità dei contenuti e del linguaggio, e alla comunicazione più che all'espressione, affinché il lettore possa emozionarsi dalla vicenda, senza farsi distrarre dal modo in cui è raccontata. Negli anni sessanta, esordisce con Near Klamath (1968) e Winter Insomnia (1970), raccolte poetiche. Seguiranno Vuoi star zitta, per favore (1976), At night the salmon move (1976), Di cosa parliamo quando parliamo d'amore (1981), Voi non sapete che cos'è l'amore (1981), Cattedrale (1983), Blu oltremare (1986), Da dove sto chiamando (1988), Il nuovo sentiero per la cascata (1988), Orientarsi con le stelle (1996).
Se una maggiore duttilità di scrittura contraddistingue le poesie, ad accomunarle ai racconti è piuttosto il registro narrativo, in cui la costruzione drammaturgica è l'architettura del verso e il realismo descrittivo traccia una costellazione poetica a sé, incurante delle scelte metriche. «La prima stesura in genere la butto giù a mano. Con velocità, quasi con fretta. Poi batto a macchina, e già cambio qualcosa. Aggiungo, taglio. Faccio altre due o tre stesure e a quel punto faccio vedere la bozza a Tess, che mi dà il suo parere. Poi consegno il dattiloscritto a una signora che ha un personal computer. La mattina dopo lei mi porta il testo stampato. Io vi apporto ulteriori correzioni …e glielo ridò. Lei lo ribatte e così via, per due, cinque, dieci volte. Sono arrivato a trenta stesure di un racconto. Per una poesia, anche di più». L'essenzialità verbale collide con la potenza delle immagini, asciutte ma sempre efficaci, in cui affiorano la commedia umana della provincia americana e il vissuto emotivo dell'autore, sebbene sia lui stesso per primo a mettere in guardia dalla lettura esclusivamente biografica, atteso che quello rappresentato è il dramma dell'uomo, non solo la trama delle impressioni suscitate dal reale.
Come nei racconti, infatti, anche nelle poesie Carver sostituisce alla cronaca l'ingresso in una storia in corso, che probabilmente non si concluderà nel finale, tramite un linguaggio straniante, talvolta ironico, o distaccato e malinconico. Ne sono protagonisti uomini e donne ritratti nella semplice quotidianità, ma anche gli oggetti, descritti realisticamente per essere percepiti non come personaggi, ma al pari di essi. La scena è, volta per volta, l'occasione per temi di ampia portata interiore. La riflessione sulla riconquista del tempo e di una seconda vita, dopo essersi liberato dalla dipendenza dall'alcolismo, pervade la poesia della rivincita: «...Così cambiò vita/in qualche modo. Smise di bere! E per il resto? / Dopo, fu tutta una pacchia, ogni minuto, / fino a quando e anche quando gli dissero che, /be’, c’era qualcosa che non andava e qualcosa / che gli cresceva dentro la testa. “Non piangete per me”, / disse ai suoi amici. “Sono un uomo fortunato. / Ho campato dieci anni di più di quanto io o chiunque altro/ si aspettasse. Una vera pacchia. Non ve lo scordate”» (Una pacchia). Eppure c'è una poesia della caduta, che mette in scena la malattia (Cosa ha detto il dottore), il male che l'uomo infligge all'altro o infligge a sé stesso (Il graffio), la precarietà dell'esistenza, l'estraniarsi da sé come guardando una fotografia (Chiarore residuo), l'addio (Non c'è bisogno) e il passato senza ritorno: «Scordati ogni esperienza che provoca sussulti/ E qualsiasi cosa abbia a che fare con la musica da camera./ Musei in piovosi pomeriggi domenicali, eccetera./ I vecchi maestri. Tutta quella roba./ Scordati le ragazze. Cerca di scordartele./Le ragazze. E tutta quella roba là» (Le Ragazze). Ci sono i casi della vita, come scivolare sul ghiaccio in auto e vedere scorrere i fotogrammi di una giornata fin lì svagata e il contrasto con l'effetto umiliante delle dita del medico (Poesia e Cadillac); e ancora l'urgenza di adoperare un linguaggio comune, non letterario, sull'esempio di Hemingway: «Si rese conto di essere/ nei guai quando/ nel bel mezzo/ della poesia/ si sorprese/ ad allungare le mani/ per prendere/ il dizionario dei sinonimi» (Allungare le mani).
C'è poi una poesia della rinascita, che invoca la felicità, sfuocata, improvvisa, vibrante e potente come la luce del mattino, la gioventù allegra di due ragazzi che consegnano i giornali, la vista della luna pallida sul mare: «Una tale bellezza che per un attimo/ La morte e l’ambizione, perfino l’amore/ Non riescono a intaccarla./ Felicità. Arriva/ Inaspettata» (Felicità); e la speranza, che si apre all'uomo in un luogo ignoto: «Tutti noi, tutti, tutti/ cerchiamo di salvare/ le nostre anime immortali,/ certi modi a quanto pare sono più/ complicati e misteriosi di altri./ Ci stiamo divertendo qui./ Ma speriamo/ che ci sarà rivelato tutto, presto» (In Svizzera).
E poi c'è l'amore, che è carne viva (Questa parola amore) e anima leggera, di cui è messaggero il Colibrì del titolo («Fai conto che io dica estate,/ scriva la parola 'colibrì',/ la metta in una busta,/ la porti giù per la discesa/ fino alla buca. Quando tu aprirai/ la lettera, ti riverranno in mente/ quei giorni e quanto,/ ma proprio tanto, ti amo»), che appare anche nel racconto postumo Se hai bisogno chiama (2000), in un'atmosfera onirica a evocare il sentimento vissuto da una coppia, che tenta invano di salvare il proprio matrimonio. È l'emozione dell'incontro imminente, della promessa di felicità («Come mai ci hai messo tanto?») nella voce della donna che da lontano indica al suo uomo la strada per raggiungerla (Attesa), rappresentando il momento della vigilia amorosa come l'essenza del sentimento stesso, lo stesso che Italo Calvino descriveva dalla parte dell'amante in viaggio - in treno e in auto - verso l'amata.
C'è il sentimento dell'addio - che prelude all'esito della malattia, alla morte per cancro a cinquant'anni - per l'amata Tess dagli occhi verdi «come muschio di fiume», mentre gli porge l'ultima rosa: «...la chiamo, contro/ quel che avverrà: moglie, finché posso, finché il mio respiro, un petalo/affannato dietro l'altro, riesce ancora a raggiungerla» (Abbi cura). E ancora la pienezza più completa della consapevolezza dell'amore, del suo essere dono, che ritroviamo in uno degli ultimi componimenti, scelto come epitaffio sulla sua tomba: «E hai ottenuto quello che/volevi da questa vita, nonostante tutto?/ Sì./E cos’è che volevi?/Potermi dire amato, sentirmi/amato sulla terra» (Ultimo frammento).
È come se una resistenza profonda avesse alimentato il suo proposito di scrivere, di essere uno scrittore e di avere nella scrittura il suo faro sempre acceso. In una prospettiva rovesciata, la misura della luce è tanto più chiara, se raffrontata al buio che, alla morte dell'amato, investe Blanche Dubois, uno dei più celebri personaggi di Tennessee Williams, tanto da farle dire che «il faro che s'era acceso sul mondo, si spense di nuovo e mai più per un solo istante da allora, ha brillato». In Carver, invece, l'incontro con la poesia generò una luce inaspettata: «Nessun’altra cosa che seppure vagamente si avvicini a quel momento mi è più successa da allora», comeun punto fermo contro ogni smarrimento, «Chiamatela una stella polare».
Riferimenti bibliografici:
Pubblicista, laurea in Lettere e tesi sulla scrittrice Alba De Cespedes, e romana dal primo amore per le sue pagine nelle vie del quartiere Prati, maturato nell'andirivieni tra Roma, Catania e un borgo di mare ragusano. Ho collaborato negli anni con giornali e blog, agenzie di servizi editoriali e riviste letterarie. Credo nella letteratura e nella conoscenza umanistica, nel potere della parola e delle parole.
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