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L'essenziale esperienza del cielo

Petula Brafa 14 novembre 2024


Un pescatore che trova un braccialetto con un nome inciso. Come per il boa che inghiotte l'elefante, scambiato dagli adulti per un cappello, poteva essere anche questo un insolito disegno per raccontare l'incontro con la sua creatura più celebre, Il Piccolo Principe (1943). E invece, nel settembre 1998, è l’epilogo alla misteriosa scomparsa dell’aviatore e scrittore Antoine de Saint Exupery (1900-1944), e al suo decollo dalle coste della Corsica senza ritorno.
Saint Exupery non era nuovo all'avventura, al coraggio, al pericolo e persino agli incidenti di volo. Nato in una delle più antiche famiglie di Francia, la cui nobiltà risaliva all’epoca delle Crociate, si appassionò al cielo da bambino: a dodici anni visse il battesimo dell'aria, salendo a bordo di un velivolo per la prima volta e violando così le prescrizioni della madre pittrice, giovane vedova con cinque figli. Del suo affetto, proprio perché profondamente segnato dalla morte del padre, non sarà mai sazio e a lei dedicherà delle lettere senza risposta, come in un confessionale, in cui le si rivolgerà come al «pozzo» della propria anima, meditando sull'incompletezza del destino. Tale vaghezza e l'inesattezza dell'essere umano in continuo divenire ispireranno la sua ricerca interiore e l'esplorazione dei confini del cielo. 
Nel volo Saint Exupery realizza infatti la più autentica delle proprie aspirazioni, cavalcandone il sogno fino a ottenere il brevetto di pilota civile, a ventisei anni. Da questo momento in poi, vita e letteratura muovono sullo stesso cammino. È responsabile della compagnia aeropostale nel Sahara spagnolo, nella tratta Tolosa-Dakar (1927-28), direttore dell'Aeroposta argentina a Buenos Aires (1929-31), inviato speciale in Spagna durante la guerra civile (1936-37), pilota militare nel secondo conflitto mondiale. Scrive in questi anni L'aviatore (1925), Corriere del Sud (1928), ambientato in Africa, Volo di notte (1931), ispirato alla sua esperienza in America Latina, Terra degli uomini (1939), saggio autobiografico intriso di misticismo, scritto dopo un raid New York-Terra del Fuoco, Pilota di guerra (1942) e Lettera a un ostaggio (1943), scaturiti dall'attualità politica, e infine Il Piccolo Principe (1943), cui seguiranno le pubblicazioni postume (Cittadella, 1948; Quaderni, 1953; Lettere di gioventù all'amica inventata, 1953; Lettere alla madre, 1955; Un senso alla vita, 1956; Scritti di guerra, 1982; Manon, danseuse et autres textes inedits (2007), novelle, lettere e frammenti scritti tra il 1925 e il 1943).
Volare argomenta la riflessione sull'infinito, sul meraviglioso, sulla libertà, sul significato dell'esistenza, sull'amicizia e sulla solitudine. È quanto si coglie nella continuità tra l’uomo, l’aviatore e lo scrittore che racconta per primo il cielo, come Joseph Conrad e Herman Melville avevano raccontato il mare. È un viaggio sentimentale, che nell’azzurro scopre la scenografia più adeguata alle proprie emozioni, mentre lo scrittore lavora come corriere postale con l’Africa e in Argentina e pubblica i propri successi. Così è nelle Lettere, scritte tra il 1923 e il 1931, e soprattutto in Volo di notte (1931), cui André Gide attribuisce l’autenticità di un documento, tale da coniugare il valore letterario a quello di testimonianza: il lettore condivide l’esperienza del cielo nel tempo presente, mentre la pagina scritta la restituisce al passato.  «L'aviazione è una bella cosa» - scrive Saint Exupery - «Non è un gioco... uno sport, ma qualcos'altro, qualcosa di inesplicabile, una specie di guerra. È bella una partenza di posta all'alba sotto la pioggia. E l'equipe di notte, sonnolenta, la tempesta segnalata in Spagna che sveglierà il pilota, la nebbia sui Pirenei. Poi, dopo la partenza, mentre ci si accinge a risolvere i vari problemi, ci si dissolve nella nebbia».
Sentimentale è anche la geografia dei luoghi, perché i punti di riferimento sono villaggi e case, dove il pilota immagina che le luci accese brillino come fari nella notte anche per ii navigatori del cielo. È lo sguardo del protagonista Fabien in volo sulla Patagonia, che con i colleghi provenienti dal Cile e dal Paraguay raggiungerà Buenos Aires, dove il superiore Reviere coordinerà la partenza della posta per l’Europa. In questi personaggi prevale il coraggio, che non è una prova atletica, ma l’idea di riuscire a portare in fondo un compito che si è accettato, come la disciplina del vivere. Ciascun aviatore è portatore di una responsabilità umana, tale da fargli scorgere dentro e fuori di sé un paesaggio impensabile, diverso, che si affaccia su altri volti del mondo e sulla contemplazione del cielo, da cui scaturiscono stupore e sorpresa. Eppure la consapevolezza del rischio e del pericolo non lo abbandona, né è estranea all’autore: è la medesima idea della morte - appresa attraverso la perdita del padre, di un fratello e di una sorella - che nel suo caso appare come un presagio.
Nel dicembre 1935, infatti, mentre sorvolava la Libia insieme al meccanico André Prevot, un incidente aereo lo fece precipitare nel deserto: qui rimasero feriti per tre giorni, prima di essere ritrovati dai beduini e condotti a Il Cairo. Il ricordo della solitudine del deserto, così feconda per le sue riflessioni, prevarrà su quella dell’esilio. «Ho vissuto per tre anni nel Sahara. Ho sognato anch’io, dopo tanti altri, sulla sua magia. Chiunque abbia conosciuto la vita sahariana, in cui tutto apparentemente non è che solitudine e privazione, rimpiange quegli anni come i più belli che abbia vissuto...Certo il Sahara, a perdita d’occhio, non offre alla vista che una distesa uniforme di sabbia... E tuttavia anche un silenzio non è uguale a un altro silenzio» - scriverà, dopo avere raggiunto il Portogallo e prima della partenza verso gli Stati Uniti, in Lettera a un ostaggio (1943) all’amico ebreo Leone Werth, costretto dalla malattia a restare in Francia ed esposto al pericolo della persecuzione nazista.
Quell’esperienza si innesterà nella sua memoria come un germoglio. Unitamente alla dedica per l’amico, diventerà lo spunto narrativo de Il Piccolo Principe (1943), cui lavorerà negli anni newyorchesi sotto l’influsso della popolarità e dell’intuizione del suo editore americano, che lo aveva sorpreso a disegnare sulla tovaglia di carta di un ristorante, proponendogli di scrivere un racconto. Concorreranno anche la vicinanza della pittrice Silvia Hamilton, che lo ispirerà per il personaggio della volpe e per l’“addomesticamento” della frequentazione, quale consuetudine dell’amore; e soprattutto la riflessione matura sulla propria infanzia - il tempo perduto mentre lo stava vivendo, per il dolore inflitto dai lutti familiari - in un testamento spirituale intriso di poesia, di figure ed elementi simbolici, di linguaggio e stile scarni ed efficaci, di un sottotesto ermetico di aforismi, ma anche di amore per la vita, per la bellezza e per il sé bambino che è stato. Infatti, il Piccolo Principe, immagine metaforica del bambino che sopravvive nell’adulto, soccorre l’aviatore nel deserto e ne è a sua volta soccorso, condividendo con lui le stesse esperienze in un dialogo sugli interrogativi della vita di ciascuno e sulle ragioni che avevano accompagnato l’autore, a difesa della stagione dell’infanzia. Il rifiuto della crescita da parte dell’autore, intesa come un esilio, racchiudeva anche la volontà di arrestare il flusso degli eventi tragici e di mantenere quanto più a lungo le illusioni, come l’incongruenza tra l’accettazione della vita ma non della morte.
La consapevole maturità dello scrittore si distingue, per contrasto, nella differenza degli esiti: se nella Lettera a un ostaggio «un sorriso è spesso l’essenziale» - a proposito dell’episodio della propria cattura da parte degli anarchici in Spagna e del sorriso di un miliziano, cui chiede una sigaretta, in un clima di fraternità umana - qui invece «l’essenziale è invisibile agli occhi» e la speranza è sovrastata dalla malinconia, pervasa dalla compiutezza del tempo e dal mistero del fine ultimo.
E forse per questo l’ipotesi che il 31 luglio 1944 l’aereo su cui volava Saint Exupery fosse stato abbattuto è stata a lungo rifiutata dai suoi lettori, persino dopo il ritrovamento del relitto e la corrispondenza del numero di serie sulla carlinga. C’è chi ha sostenuto che il tracciato di volo non sia stato mai trovato e che, malgrado un ufficiale abbia assunto la responsabilità dell'abbattimento, invece quella notte i caccia tedeschi non decollarono. E c'è chi crede alla leggenda che, in qualche luogo dell'universo, Saint Exupery sia riuscito a rifugiarsi, con una rosa sotto una teca a custodire il suo segreto, o che continui a volare nell'eternità.

 
Riferimenti e letture
• Antoine de Saint Exupery, Volo di notte, prefazione di André Gide, Rusconi 2016
• Antoine de Saint Exupery, Lettera a un ostaggio (1944)
• Romana Petri, Rubare la notte, Mondadori 2023
• Antoine de Saint Exupery, Il Piccolo Principe, LXVIII edizione, Bompiani 2010
• Jean Pierre Guéno, I ricordi del Piccolo Principe, Bompiani 2011

 

Petula Brafa

Pubblicista, laurea in Lettere e tesi sulla scrittrice Alba De Cespedes, e romana dal primo amore per le sue pagine nelle vie del quartiere Prati, maturato nell'andirivieni tra Roma, Catania e un borgo di mare ragusano. Ho collaborato negli anni con giornali e blog, agenzie di servizi editoriali e riviste letterarie. Credo nella letteratura e nella conoscenza umanistica, nel potere della parola e delle parole.

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