Volare è probabilmente il sogno e il desiderio più comune, ricorrente e iconico dell’uomo. Volare è in qualche modo legato ad un senso di leggerezza e di libertà. In realtà è un’illusione. Primo, perché non tutto ciò che vola è leggero, secondo, perché il volo obbedisce a delle leggi ben precise e trasgredire a queste leggi vuol dire cadere. Certo, volare nell’immaginario comune vuol dire mollare gli ormeggi, da qui il senso di leggerezza e di libertà: sono catene gli ormeggi, specialmente quelli dell’anima. Quindi, sempre nell’immaginario comune, volare vuol dire liberarsi dai fardelli, dalla zavorra dell’anima, in questo consiste il senso di leggerezza e di libertà. Ciò consente di andare in alto non solo fisicamente, di elevarsi, di trascendere: la meditazione orientale e la preghiera a questo alludono quando predicano di abbandonare il superfluo per raggiungere vette più alte. Da qui a Battiato è un attimo. Tutta la sua visione musicale è legata alla spiritualità, ma c’è un brano musicale in particolare che esprime magistralmente questo concetto: Gli uccelli. Il brano descrive in maniera compiuta il movimento degli uccelli in volo: i cambi di direzione e il movimento ascensionale sono espressi dall’andamento melodico che sale sempre di più verso note più alte per poi ridiscendere e risalire; le immagini proposte dal testo (i segreti del nostro sistema solare, i codici di geometria esistenziale) ricalcano il pensiero alto che sottintende a questo brano. Battiato lega inscindibilmente il volo degli uccelli al volo dell’anima attraverso il desiderio forte, non detto, ma allo stesso modo esplicito, di ammirazione, emulazione e assimilazione a questa dimensione non terrena. Tutto grazie ad un uso magistrale dei mezzi musicali: armonia, melodia, arrangiamento, ritmo. La prima parte è senza la batteria ma quando, nella seconda parte, parla delle migrazioni degli uccelli la batteria entra dando al ritmo la sensazione del volo pacato, che si prende il suo tempo e che segue le leggi di natura. Questa pacatezza traspare e dona una sensazione di compiutezza e serenità all’ascoltatore. Ma c’è un altro gigante che si è occupato della dimensione aerea, ed è Fossati nel brano Lindbergh. Qui però c’è una sostanziale differenza, infatti la trascendenza di Fossati è più fisica, più immanente, più legata all’uomo e al suo destino. Charles Lindbergh ha attraversato per la prima volta l’atlantico in solitaria (1927), per questo conseguì diversi riconoscimenti e diventò un eroe. Ma è proprio l’eroismo che Fossati mette da parte e fa diventare la sua esperienza una metafora della condizione umana.
Già dall’incipit (non sono che il contabile dell’ombra di me stesso) si capisce che la prospettiva è un’altra: quella del viaggio non dell’aviatore ma dell’uomo. Il brano è una riflessione sulla condizione umana: “Non sono che l’anima di un pesce con le ali volato via dal mare per annusare le stelle”, sempre estraneo a se stesso l’uomo, sempre fuori posto.
Volare è il sogno dell’uomo di migliorare la sua condizione, Fossati lo affronta in maniera più immanente, Battito più trascendente, ma non cambia nulla perché le diaspore sono dell’uomo e dell’anima.
Guglielmo Tasca è nato a Scicli (RG) nel 1962. Si è laureato al Dams e negli anni ha approfondito lo studio delle musiche e delle tradizioni popolari siciliane.
Nel 1996 ha vinto, insieme a Rinaldo Donati, il premio Recanati per la canzone d’autore con il brano Beddu nostru Signuri. Ha inciso numerosi dischi e si è esibito su palcoscenici.
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