Giugno 2006

ARCHITETTURA DI terra

Djenné, Mali, Africa. Patrimonio dell'UNESCO


Giuseppe Mavilla

«Acqua!, acquaaa!!!» Il grido risuona nell’infinito deserto, il grido di chi si è perso, non trova più il percorso, ma ha un assoluto bisogno di acqua, di quel liquido così importante per tutti gli esseri viventi, fondamentale per la vita, primario per la sopravvivenza soprattutto in un deserto dove infuria una tempesta di sabbia. La scena potrebbe essere quella vista in un film, oppure letta in un libro d’avventure, ma non ha molta importanza, è uno spunto, una traccia per arrivare alla combinazione di acqua e sabbia che ci porta in Africa in quella che è l’architettura di cui ci parla, attraverso le sue opere, Nisveta Kurtagic Granulo, l’architetto venuto dall’est ma anche un’artista della grafica che viaggia per il mondo alla scoperta dell’universo interiore e della cultura dei popoli che riporta poi nella sua arte. Nisveta Kurtagic Granulo Ospite di recente in due diversi e contrapposti luoghi della provincia iblea, dove lei risiede e lavora, due luoghi incastonati nel barocco della Val di Noto, da una parte Ragusa Ibla e il teatro Donnafugata meraviglioso e piccolo tempio nato per accogliere ogni forma d’arte, dall’altra Scicli e la via Francesco Mormina Penna che d’estate richiama volti e voci di ogni parte del mondo e le cui basole risuonano ancora, anche d’inverno, dei suoni che vi sono transitati nelle notti d’agosto. Due luoghi da preservare, patrimonio Unesco e quindi una garanzia di conservazione. Ma torniamo a Nisveta e alla sua arte ed in particolare alla mostra presentata al civico 40 di via Francesco Mormina Penna, un posto dove l’arte è soggetto unico ed esclusivo. È la galleria Koiné, dal greco koiné, ovvero la lingua comune, non il greco classico, dove, dal 29 aprile al 14 maggio, ha trovato gradita ospitalità la mostra “Gli Alfabeti del Sole”, una personale proprio di Nisveta Kurtagic Granulo un, personaggio noto negli ambienti artistici di tutta Italia e non solo, le sue opere infatti sono parte di gallerie e collezioni private italiane ed europee. Nata a Sarajevo dove si è laureata in architettura nel 1985, successivamente, nel 1996, si è specializzata in arte e design a Londra, e ancora in arte dell’incisione al Centro Internazionale di Specializzazione in Arte Grafica “Bisonte” di Firenze. Numerosi i premi e i riconoscimenti ricevuti, così come le partecipazioni a mostre collettive nonché le sue personali in provincia ma anche a Venezia e Firenze. All’interno di questa sua mostra è stata proposta una conferenza: “Architettura di terra – Djenne, Mali, Africa. Patrimonio dell’Unesco”. Si tratta di un documentario fotografico per scoprire le caratteristiche delle abitazioni e delle moschee di quella parte dell’Africa, il Mali appunto, tutte costruite con materiali naturali, terra e acqua ovvero fango, materiali poveri per noi, materiali nobili per loro, con le quali rifiniscono le case, con l’arte delle loro mani, rifiutando di conseguenza ogni materiale artificiale. E ci diceva Nisveta: «È come la pietra naturale che viene usata qui da noi». Lei ha fatto questo viaggio in occasione della “Biennale d’Arte e Fotografia” che si svolge ogni due anni a Bamacò che è la capitale del Mali e ci parla con molta passione di questa sua esperienza, ci dice di una zona chiamata Dogon dove si estende una falesia, una sorta di montagna rocciosa, per una lunghezza di circa 135 km dove viveva un antico popolo che fu costretto a lasciare quel posto per l’invasione dei berberi che arrivavano dal Marocco abbandonando queste strutture che ancora oggi risultano intatte perché poste sotto le rocce e quindi resistenti agli “insulti” del tempo. E ci descrive questo popolo come di grandi esperti di astrologia, sono stati infatti ritrovati dei manoscritti del XII e XIII secolo che parlano di conoscenze astrologiche, confermate qui in occidente soltanto 50 anni fa. Un popolo ricco di spiritualità, una spiritualità che si ritrova anche nelle loro case che a noi possono sembrare povere nel loro aspetto estetico e materiale e invece sono piene di significati e di simbologie. La loro religione animista attribuisce un’anima a tutti i fenomeni naturali, agli eventi naturali, un’energia presente in tutto ciò che esiste, che è visibile e invisibile, causa di ciò che accade, della vita come della morte. Un’anima è presente anche nei disegni scolpiti nelle rocce delle loro case. Un simbolismo metafisico i cui elementi sono riscontrabili anche nella nostra preistoria, “Simboli che ho trovato anche in India” aggiunge Nisveta. Uno di questi simbolo è la “mandala”, un disegno grafico che mette insieme diverse figure geometriche, quelle più riscontrabili sono il punto, il triangolo, il cerchio e il quadrato, letteralmente il significato del termine mandala è: cerchio. «La mandala si ritrova in diverse culture», precisa ancora Nisveta, «L’ho trovata in Asia, nel mio paese, qui da noi, nel tessuto come nella forma, ogni popolo ne fa un elemento proprio, una forma universale che accomuna tutto il mondo e questo mi affascina e di questi miei viaggi io racconto la simbologia universale». “Gli alfabeti del sole” ha i segni, i simboli e le tracce di quest’ultimo viaggio che l’artista ha fatto nel Mali ed esplica l’idea dell’architettura di terra e acqua di questo paese. Le composizioni che ho realizzato, dice Nisveta: «Sono dei racconti che mi hanno rivelato che tutto viene dalla natura». La sua arte è fatta di trame fitte e sottili, inframmezzate da segni e simboli che disegnano insiemi ordinati in modo preciso sottolineati dall’uso prevalente di colori tenui e delicati tra i quali quelli dell’argento e dell’oro. Sia questa mostra che la successiva al teatro Donnafugata di Ragusa Ibla hanno ancora una volta provato quanto l’artista sia apprezzata e quando le abbiamo chiesto in conclusione di questo incontro, un giudizio sull’approccio alla sua arte da parte della nostra gente, lei ci ha risposto: «Io vado spesso in Francia e mi accorgo come lì amino molto le cose nuove mentre qui in Sicilia si ha un po’ paura per ciò che è meno usuale. So che in gallerie come questa le opere più richieste sono quelle appartenenti ai nomi più noti. Eppure mi fa sempre piacere sentirmi dire da qualcuno che non ha mai visto niente di simile, riferendosi ad una mia opera. Mi dà serenità. Non voglio creare opere come prodotti che debbano essere gradite a tutti, anche se mi converrebbe da un punto di vista economico. Voglio invece trovare e dare spazio alla mia diversità».