Novembre 2006

Barriere

Per costruirsi un'identità, ogni individuo ha bisogno di confrontarsi con i limiti, con le barriere, per consolidare una personalità quasi coerente.


Nicolas Python

Sono rimasto a lungo perplesso davanti all'argomento proposto questo mese nel nostro giornale preferito, ed è stata un'introspezione quasi psicanalitica (che pomposa espressione per definire una semplice conversazione con mia madre tra la frutta e il dolce!) che mi ha permesso di comprendere la dimensione traumatica presente nell'evocazione di questa parola. Il mio primo incontro importante con una barriera lo avuto a pochi mesi e si è rivelato violento. Questa barriera, che secondo i miei genitori doveva proteggermi, aveva perso la sua funzione originaria per diventare una considerevole fonte di pericolo. Desiderando esplorare il mondo che vedevo stagliarsi dietro questo ostacolo che avvertivo come insormontabile e malgrado la barriera fosse a norma in materia di sicurezza, sono riuscito a ingannare la sua intimidazione e a scalare con un movimento che suppongo fluido ed aereo la frontiera che delimitava il mio letto. È facile immaginare quel che è accaduto quella notte e quale reazione di terrore poteva dare a qualsiasi genitore: in cima alla barriera ero in un equilibrio instabile e quel che doveva succedere… è successo! Una caduta pesante e improvvisa mi sbattè sul pavimento come una marionetta disarticolato, l’episodio spiega (e qui precedo l’ironia dei miei amici) alcuni miei comportamenti! In modo più generale, mi appare evidente che una barriera, come d'altronde la maggior parte delle cose, di per sé non è né buona né cattiva, tutto dipende in effetti dall’uso che se ne fa, dai suoi presupposti, del contesto che sottende la sua esistenza. Per costruirsi un'identità, ogni individuo ha bisogno (in ogni caso questo ciò è che dicono gli psicologi) di confrontarsi con i limiti, con le barriere, per consolidare una personalità quasi coerente (siamo tutti un po' nevrotici, non è vero?). Abbiamo quindi sempre bisogno di fissare frontiere tra i sessi, tra le generazioni e, in generale, di considerare la barriera dell'«altro», cioè di assimilare il sentimento di alterità. Queste barriere identitarie sono trasmesse in seno alla famiglia ed hanno il solo obbligo di essere coerenti con i codici sociali. È necessario sentirsi inserito nella collettività, i genitori servono allora da tramite, anche se spesso in modo conflittuale, per assimilare questi codici. Ma vi siete chiesti dove voglio arrivare con questa premessa un po’… lunga? La redazione mi ha proposto di scrivere un articolo che affrontasse la questione delle banlieue (periferie) dal punto di vista abbastanza originale delle barriere. Io non avevo alcuna idea su cosa scrivere, ho deciso così di seguire il suggerimento e di parlare delle periferie e delle barriere. La parola banlieue (ban [bando] – lieu [luogo]) porta in sé un'ambiguità etimologica: non vuole dire, come è stato in più occasioni scritto durante “la crisi delle banlieue”, il luogo del bando, dell’esclusione. In origine, banlieue non era un termine di esclusione e di bando, ma di inclusione. Deriva da "ban", il potere di giurisdizione, al quale è affiancato "lieue", per definire lo spazio nel quale si esercitava questa autorità giuridica. La periferia è un territorio che cinge la città e dipende dalla sua giurisdizione. Che la periferia sia diventata piano piano il luogo dove si stabilivano coloro che per diversi motivi non potevano restare in città o coloro che ne venivano rigettati, è il dibattito che ci porta a parlare non più di sobborghi ma delle periferie degradate di Parigi. La storia e l’(anti)urbanistica sono stati gli artefici dell’affermazione dell'immagine negativa di questa periferia, che è città senza esserlo e che la città stessa rigetta. E è questo rigetto che costituisce la principale barriera all'integrazione legittima degli abitanti delle periferie nel tessuto sociale ed economico delle città. Le periferie, a causa della loro struttura (grandi sbarre che tappano l'orizzonte, torri smisurate che sembrano fuggire verso il cielo), della loro accessibilità (lontano dal cuore urbano dove pulsa la vita moderna), dei criteri di assegnazione degli alloggi pubblici così come stilati dalle autorità (comunitarismo, concentrazione di persone svantaggiate, assenza di varietà sociale), hanno oggi un'immagine talmente repellente e negativa che stigmatizzano la totalità dei suoi abitanti e li relegano ad un statuto di non-cittadinanza, che li relega al di fuori della città nonostante ne facciano ufficialmente parte. Percepiti come estranei alla città, questi sono esclusi dal ruolo di cittadini. L'abitante delle periferie, nella voglia di sfuggire al suo destino di satellite urbano, si scontra continuamente con barriere, più o meno simboliche: barriere linguistiche, culturali (con estrema ironia, si definisce la cultura dei giovani delle periferie, "cultura urbana"), dei saperi, religiose, economiche (il consumo, ultima oasi per questi giovani alla ricerca di un'identità, è loro continuamente proposta nei media ma resta spesso inaccessibile per via delle loro risorse); le periferie sono rese intollerabili nella vita quotidiana dall’ultima barriera della discriminazione che accelera il processo di esclusione (i giovani delle periferie sono rigettati dai luoghi di integrazione urbana: discoteche, concerti, musei, master…), il circolo vizioso si chiude così! Una volta rientrati nel loro appartamento, si scontrano contro un'altra barriera, quella costituita dalle incomprensioni dei loro genitori, causata dall’impossibilità di trasmettere dei punti di riferimento da una generazione all'altra, poiché i destini di ognuna di queste generazioni sono quasi opposti: i genitori sono venuti sapendo ciò che venivano a cercare (lavoro, denaro, sicurezza politica, dignità,) ed i figli si ritrovano in un territorio simbolico indefinito, senza radici, rifiutati da tutti, apolidi agli occhi di alcuni quando invece non chiedono altro che una cosa: essere come gli altri! Ecco una veloce analisi, certamente piena di false verità, di pregiudizi semplicistici, di scorciatoie rischiose, dato che c’è ancora una barriera di cui parlare, quella della proiezione. Ho lavorato una decina di anni nella "banlieue”, vi ho vissuto per 5 anni, ma non conosco altro che la “mia banlieue", con il mio punto di osservazione e basandomi sulle mie esperienze, e penso che generalizzare certi approcci, come ho appena fatto in questo articolo, sottintende una parte di arroganza, di menzogne involontarie, perché non si fa altro che proiettare le proprie impressioni, interpretare le parole altrui; questo permette di sfiorare certe verità, senza riuscire a costruire una “verità”, che è invece da trovare in ciascuno di noi, qualunque sia il proprio posto, nello scambio e nel dibattito, nell'ascolto e nella comprensione, ma soprattutto nell'umiltà, con umanesimo e generosità, superando certe barriere interiori ed esteriori, e privilegiando le barriere di protezione a quelle dell’interdizione. Su queste parole forse un po’ generiche, vi auguro buone feste e tutto ciò di cui avete voglia.