Dicembre 2006

UNO SLOGAN CI SEPPELLIRÀ

Viaggio intorno agli slogan pubblicitari che sono diventati parte del linguaggio quotidiano.


Gina Massari

«Sul muro c’era scritto “Alzateci il salario”, l’ha cancellato un grande cartellone con scritto “costa meno il mio sapone”» cantava Gaber negli anni settanta. Presagio di come gli slogan avrebbero ridotto le coscienze o stornello accattivante per raccontare nuovi interessi? Non è forse vero che la pubblicità ha cambiato gli stili di vita o quantomeno il linguaggio degli italiani? Se un tempo si citavano frasi celebri di scrittori o strofe struggenti di poeti oggi è molto frequente sentire ripetere, tra la gente con disinvoltura o forse inconsapevolmente, messaggi pubblicitari. Frasi onomatopeiche o freddure, una volta magari affidate ai dialetti, oggi sempre più vengono rubate alle campagne pubblicitarie di tutto il mondo, meritevoli di usare linguaggi immediati e di rendere comprensibile una battuta da Milano fino a Palermo. Lo storico tormentone Io ce l’ho profumato… L’alito con Mentol o l’attualissimo No Martini? No party sono solo un assaggio. Ammiccamenti, intonazioni, filastrocche e slogan diventano in breve di uso comune, misurano e influenzano i tempi e i modi di dire. C’erano anni in cui bastava un Cynar. Contro il logorio della vita moderna e si poteva rimediare agli sbagli facendo sani e incontrovertibili outing del tipo Anch’io ho commesso un errore. Non ho mai usato la brillantina Linetti o ancora, senza aggiungere motivazioni, ricorrere a Falqui. Basta la parola! Seguono gli anni del boom dove non esistono ladri e Se qualcuno ruba un fiore per te, sotto sotto c’è Impulse, e poi tutti salutisti su due ruote con Chi Vespa mangia la mela. Sigle e marchi, insomma, che diventano modi di vivere, di fare o di essere. Come dimenticare la categoricità di O così o Pomì, la sapienza di L’uomo Del Monte ha detto sì, il rispettoso raccoglimento per Silenzio, parla Agnesi, la consapevolezza animalista di I gatti comprerebbero Wiskas o infine l’indecisione che diventa segno di un gusto preciso Liscia, gassata o Ferrarelle?. Per tornare a tematiche esistenziali ed intramontabili, a chi non è capitato di chiedersi Che mondo sarebbe senza Nutella? Riuscire a rispondere alla marzulliana domanda Cosa vuoi di più dalla vita. Un Lucano, avvertire il bisogno di punti di riferimento, d’altronde si sa da generazioni che Dove c’è Barilla c’è casa, o infine desiderare di sentirsi almeno per una volta Sector. No limits. E per chi non s’accontenta? C’è Rowenta! Slogan, appunto, che ci richiamano alla mente atmosfere accoglienti, focolari domestici perfetti e scintillanti, famiglie unite e felici, donne e uomini d’affari vincenti e in forma, località e auto da sogno, e poi brioche, detersivi, jeans, medicinali, cioccolato, trapani, rossetti, divani, lamette, scooter, computer, surgelati. Sensazioni, status, emozioni rappresentati con oggetti e servizi da possedere. Non si vende semplicemente un diamante, si propone la felicità per sempre. Niente rimane fuori dalla reclame. Telefoni necessari per connecting people, banche che propongono ai correntisti Conto io per dare un’anima ai numeri, dopobarba per l’uomo che non deve chiedere mai, creme e cosmetici da scegliere perché Io valgo, auto che promettono emotion e profumi che ricordano che il mito vive. Il marchio, senza dubbio, è importante così come enfatizza una pubblicità che non pubblicizza niente ma ci ricorda che siamo cresciuti grazie alle marche. Tuttavia è vero che alcuni slogan sono davvero entrati nell’immaginario comune e fanno parte della vita di tutti i giorni. Per questo se si accenna al buco con la menta intorno, all’analcolico biondo che fa impazzire il mondo, al fare l’amore con il sapore, alla camicia con i baffi o alla cucina più amata dagli italiani parlare di loghi è davvero superfluo. Alle volte, poi, lo slogan sopravvive persino a ciò che doveva promuovere, è il caso di piace alla gente che piace, la natura di prima mano, o per molti ma non per tutti;può diventare tormentone da cui è difficile sottrarsi, come il Buonasera…di qualche anno fa o l’evergreen della moglie annoiata Anto’, fa caldo riproposto ogni estate; o continua a vivere di vita propria, magari grazie all’associazione con qualche volto noto come l’allora esordiente Stefano Accorsi con Du usti s mei che uan o l’indimenticabile Nino Manfredi con il suo più lo mandi giù e più ti tira su. E mentre frullano per la testa ancora altri ritornelli da mangia sano, torna alla natura a dieci piani di morbidezza, viene in mente un’altra canzone, questa volta più recente di Baglioni, che parla di <città di antenne e cielo, luci grigie delle stanze, la notte cade come un velo a smorzare gli occhi ed i televisori, e tu dietro a un vetro guardi fuori. E adesso la pubblicità.> Sembra infatti che le luci soffuse di candele profumate o le case inondate dal sole in mezzo ai boschi siano solo dentro gli schermi della tivù o tra le pagine dei giornali mentre la realtà sia più vicina all’immagine fantozziana dei cortili, di notte, illuminati solo dai bagliori televisivi. Le immagini sono tratte dal sito di Pubblimania.