Febbraio 2014

La grande Meretrice

Da caput mundi a capitale d'Italia: Sesso e potere nella storia di Roma


Maria Cristina Vecchiarelli

Caput mundi, Roma può egregiamente assurgere anche a ideale capitale del Caos. Nessun'altra città ha una così antica rinomanza di crocevia di orrori e meraviglie, grottesche mostruosità e celestiali armonie; nessun'altra è allo stesso suo modo un prisma infinito di facoltà e contraddizioni, una così sublime e paradossale commistione di sacro e profano. Sin dagli albori la sua incommensurabile bellezza si è costruita e radicata sulla bruttezza dell'abominio. La primordiale lotta ingaggiata da Romolo e Remo per la sua fondazione sfocia nel fratricidio; gli archi di trionfo di cui sono disseminati i suoi Fori celebrano ancestrali genocidi; Colosseo e Circo Massimo sono impregnati del sangue di uomini e bestie che vi hanno trovato la morte in nome del "panem et circenses" e della delizia degli imperatori e delle loro corti; le sue mura rinascimentali sono serrate su intrighi inenarrabili; uno degli obelischi che adornano le sue ville e le sue piazze cela le mani amputate di colui che lo pose (è l'obelisco di Villa Celimontana: durante la sua installazione, nel 1820, cedette all'improvviso l'imbragatura che lo sosteneva sospeso, e l'enorme blocco di pietra venne giù tranciando di netto le mani e un braccio dell'operaio che lo stava collocando sul basamento). Per tutto questo e molto altro l'immortale città vive da millenni il paradosso di rappresentare un paradiso in terra che a niente si avvicina di più che ad un inferno "che non ha vergogna, che non ha giudizio", citando la canzone di Chico Buarque De Hollanda. Roma capitale mondiale del Caos, dunque; e senz'altro, per analogia, anche del Casino: intendendo il termine sia in riferimento appunto al Caos, di cui è più familiare sinonimo, dai romani assai frequentemente nominato e imprecato, sia nell'accezione più specifica di sentina di vizi, luogo di licenziosità e mercimonio sessuale. "A fijo de' 'na..." è da sempre a Roma l'esclamazione più diffusa, quasi in una sorta di presa di coscienza delle proprie origini dei discendenti del già ricordato fondatore, quel Romolo che si vuole allevato assieme al suo gemello da una lupa, raffigurata dall'iconografia classica con l'effigie dell'animale da cui mutua il nome, ma che con ogni probabilità è una donna di malaffare: di lupanare, appunto. Ed è un'esclamazione di derivazione assai remota: "fili de le pute" è l'ingiuria incisa in uno dei "fumetti" che si possono leggere tra gli affreschi rinvenuti nella basilica inferiore di San Clemente, risalenti all'XI secolo, i quali costituiscono il primo esempio di iscrizione in volgare nella storia dell'arte e della letteratura italiana. L'intreccio inestricabile tra sesso e potere sin dalla notte dei tempi ha, nella città sede di due delle egemonie più rilevanti della storia, l'Impero Romano e il Papato, tessuto una trama ricchissima e non poco affascinante. Non c'è vicenda nelle sue cronache, dal periodo arcaico della monarchia dei Sette re in poi, che non veda tra i protagonisti principali, accanto a uomini illustri e autorevoli, una o più dame di costumi disinvolti. Sono queste ultime, anzi, spesso, a rubare la scena ai loro insigni protettori. Dalle oscure popolane che esercitano nei postriboli o nei cantoni delle strade alle raffinate e sensuali etere, non di rado di alto lignaggio, che praticano i lussuosi letti delle dimore patrizie, alle nobili e rispettabili matrone dell'aristocrazia, nella Roma imperiale sono tante le donne che vivono un'ampia libertà sessuale, che dal mero adulterio spesso sconfina in una vera e propria condotta di prostituzione. Donne che non solo finiscono nei libri di storia - Giovenale e Plinio il Vecchio raccontano con dovizia di particolari, e forse con un accanimento che fa parte di una efficace strategia di "damnatio memoriae" ai danni di una donna emancipata e invisa a molti antagonisti politici, le gesta di Messalina, terza moglie dell'imperatore Claudio, nel suo bordello riservato al Palatino, dove ogni notte si prostituiva col nome di Licisca - ma riescono a diventare anche muse ispiratrici di liriche immortali, come Clodia Pulcra, la presunta Lesbia di Catullo: figlia di un console, sorella di un tribuno della plebe, e poi madre di una figlia, Cecilia Metella, sì, proprio quella del notissimo mausoleo sull'Appia Antica, che si distinse anche lei per la sua condotta disinvolta, districandosi tra il matrimonio, vari amori e numerosi adulteri. In molti altri angoli della città eterna è possibile ritrovare ancor oggi le vestigia del passato illustre fulgore delle meretrici, molte delle quali ottimamente inserite nella vita sociale in ruoli di prestigio e con elevati tenori di vita: da Via delle Zoccolette, vezzeggiativo che taluni attribuiscono alla circostanza che lì vi fosse un internato che dava ricetto alle figlie delle prostitute per affrancarle dal destino delle madri e altri invece al fatto che fosse stata interamente lastricata coi proventi delle tasse versate da queste professioniste; alla Suburra, rione di fondazione antichissima alle propaggini del colle Esquilino che diede i natali a Giulio Cesare, oggi parte di pregio del centro storico, ma ai primordi zona popolare malfamata e vero e proprio quartiere a luci rosse; alla chiesa di Sant'Agostino, dove ogni domenica, alla metà del XVI secolo, le numerosissime cortigiane (si stimava che all'epoca, su una popolazione di cinquantamila abitanti, ve ne fossero ben settemila) venivano obbligate ad ascoltare un sermone che avrebbe dovuto indurle ad abbandonare la strada del peccato e a convertirsi ad una vita onesta; a Piazza San Marco, dove è collocato il busto di madama Lucrezia, una delle cosiddette "statue parlanti", che tratteggerebbe, nelle vesti della dea Iside, le fattezze di Lucrezia d'Alagno, favorita di Alfonso d'Aragona assai nota e apprezzata per per la brillantezza del suo fascino, della sua cultura e della sua eloquenza. Già nella Roma antica, ma anche e soprattutto, per motivi, diciamo così, tecnici, nella Roma dei papi, le cui corti erano formate da ecclesiastici che per il voto di castità non potevano sposarsi o accompagnarsi apertamente ad una partner, il capitolo delle amanti forma una galassia centrale di questo universo lussurioso. Donne belle e disinibite nell'ambiente curiale potevano arrivare a fare il salto, passando da meri oggetti di piacere a favorite e poi a concubine a dividere more uxorio il talamo dell'augusto innamorato. Tra queste la più famosa è senz'altro Vannozza Cattanei, la mantovana che diede quattro figli a papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, tra cui il Duca Cesare e l'inquieta e sventurata Lucrezia, poi sostituita dalla bellissima Giulia Farnese. Ma merita una speciale menzione anche Olimpia Maidalchini, la "Pimpaccia di Piazza Navona", cognata del papa Innocenzo X del quale aveva fortemente favorito la carriera, assai chiacchierata non solo per il suo straordinario ascendente sul fratello del marito fino a dominare in sua vece la corte pontificia venendo apostrofata "la papessa", ma anche per la sua avidità. Pasquino, il principe delle statue parlanti, le dedicò il motto "Olim pia, nunc impia"; e leggenda vuole che ogni sette gennaio, anniversario della morte di Innocenzo, il fantasma della "Pimpaccia" corra su una carrozza in fiamme dal suo palazzo di Piazza Navona fino a Ponte Sisto per piombare in Tevere con tutte le ricchezze accumulate. Dai fasti fulgidi e truculenti del passato alle sordide cronache di oggi - il bunga bunga berlusconiano a palazzo Grazioli, il via vai dei politici nelle dimore dei trans brasiliani, lo scandalo delle baby squillo nel quartiere bene dei Parioli - il passo non è breve. La degenerazione del degenere è il termometro della nostra epoca. I tempi di basso impero in cui siamo vissuti e stiamo ancora vivendo sono estremamente ingloriosi. Roma non è il più il centro del mondo: le leve di comando si sono spostate altrove, prima nel Nuovo Mondo, ora nemmeno più lì, ma nei caveau di qualche banca svizzera: il leviatano dell'economia ha divorato gli spazi della politica, della grande politica che influisce sui destini globali. I suoi splendidi palazzi sono ora percorsi da personaggi infimi, provinciali, come provinciale, assolutamente ininfluente, è la politica della nazione di cui ella è capitale. Roma è sempre stata grande, nel bene e nel male: colosso della storia, è essa stessa la gran meretrice che nel corso dei secoli si è lasciata fare di tutto, barbarie, saccheggi, invasioni, devastazioni, con indolenza e indifferenza, non perdendo mai un atomo della sua inalterabile bellezza. E' il potere che è diventato piccolo piccolo. ____ Foto 1: Mausoleo di Cecilia Metella in Via Appia Antica. Foto 2: Trasfigurazione di Raffaello: nella donna in basso a destra in primo piano è ritratta presumibilmente Giulia Farnese.