Settembre 2014

Imbattersi in TESORI NASCOSTI

Leggende di “truvature” in Sicilia e animali-guardiani


Alessandro D'Amato

Da secoli, la Sicilia è una terra predisposta ad accogliere nel proprio suolo inestimabili tesori. Non mi riferisco né al petrolio, che negli anni ‘50 e ‘60 del Novecento arricchì la babba provincia iblea, né al preziosissimo patrimonio agrumicolo, che dalla Conca d’oro palermitana giunge fino alla piana di Catania, né infine al pomodorino di Pachino, che il mondo intero ci invidia e tenta d’imitare. I tesori ai quali faccio riferimento sono dei tesori veri e propri, fatti di monete d’oro e gioielli preziosi, solo che sono nascosti in chissà quale luogo… così ben celati che nessuno finora è mai riuscito a trovarne uno! Però, tutti sanno che esistono. E nessun adolescente potrà mai dire di non aver sognato ad occhi aperti il suo ritrovamento, dopo aver ascoltato il racconto del nonno con sguardo a un tempo estasiato e inebetito, pregustando di poter acquistare chissà quale modello di motoo quale versione di videogame. La Sicilia, infatti, è terra di credenze popolari di tesori nascosti, aventi una chiara origine profana, nei secoli progressivamente interrelatasi con alcune tradizioni cristiane, tant’è che spesso i luoghi che la tradizione ci ha tramandato come sede di ricchezze nascoste sono stati ribattezzati con il nome di qualche santo. È probabile che le radici di tali credenze risalgano al periodo della dominazione arabo-bizantina (VIII secolo), quando pare fosse diffusa l’usanza di nascondere le proprie ricchezze (grandi o piccole che fossero), temendo che l’invasore potesse entrarne in possesso. E quale miglior posto del sottosuolo per celare le proprie fortune? Le leggende sviluppatesi attorno alla presunta esistenza di tesori nascosti sono aggettivate come “plutoniche” poiché, nella mitologia greca, Plutone, fratello di Giove, non era altro che la divinità del mondo sotterraneo. Nel linguaggio popolare il tesoro nascosto prese il nome di truvatura e, per vari secoli, intere generazioni di contadini vissero sognando un giorno di entrarne in possesso, in modo da dare una svolta alle proprie esistenze. Tra l’altro, la credenza nelle truvature fu così capillarmente diffusa in tutto il territorio regionale, che nel 1897 il medico e studioso di tradizioni popolari Salvatore Salomone-Marino arrivò addirittura a sostenere che il ritrovamento del tesoro nascosto «è pel villico la costante aspirazione, il desiderio intenso, il sogno di tutte le notti, il pensiero che non lo lascia un minuto mentre nel campo volge le zolle o raccoglie i prodotti». Pochi anni dopo, nel 1901, un altro appassionato di “demopsicologia”, Mattia Di Martino, sostenne che il territorio con la maggior presenza di leggende plutoniche fosse il Modicano, che un tempo aveva costituito una tra le più benestanti contee dell’isola. Ad ogni modo, nella costruzione mitico-simbolica di tali leggende, vediamo rispecchiarsi un archetipo particolare, secondo cui a protezione dei tesori nascosti vi sarebbe sempre un essere dotato di poteri soprannaturali, talvolta uno gnomo o un folletto, nella maggior parte dei casi uno spirito guardiano con sembianze zoomorfe, sia esso serpe, gatto, rospo, pipistrello, corvo, gallo o altro animale dalle fattezze più o meno immaginarie. Di conseguenza, per entrare in possesso dei tesori nascosti sarebbe stato necessario non solo riuscire a individuare il punto esatto in cui esso era stato celato chissà quanti secoli prima ma anche smagare l’incantesimo posto a protezione degli stessi. In un saggio del 1936, l’etnologo Giuseppe Cocchiara ci elenca tutta una casistica di truvature per entrare in possesso delle quali sarebbe persino occorso il sacrificio di una vita umana, secondo una pratica diffusamente presente in tutta Europa, le cui origini sembrano potersi sostanziare in un rituale magico di carattere imitativo, basato sul ragionamento in base al quale se un tesoro è stato reso incantato mediante l’uccisione di un uomo, di una donna o di un bimbo, esso potrà essere smagato seguendo lo stesso procedimento. Chiusa questa macabra parentesi, torniamo a calarci nella condizione di colui il quale veniva a imbattersi in un tesoro nascosto. Egli, nella stragrande maggioranza dei casi, si sarebbe trovato di fronte a una sorta di animale-guardiano. Nel quadro degli animali chiamati a salvaguardia di tali ricchezze, il serpente è certamente quello più rappresentativo, probabilmente per il suo supposto legame con il mondo dell’aldilà e con il Maligno. Un esemplare in particolare, la culorva (o, a seconda del sottodialetto di riferimento: culovra, culovria, culovira o biddina), ha da sempre solleticato la fantasia popolare, che attorno ad esso ha creato una mole notevole di credenze, tutte accomunate dal profondo senso di timore reverenziale nei confronti di questo animale che tanto innocuo è per l’uomo nella realtà (dovrebbe infatti corrispondere all’inoffensiva ‘biscia dal collare’), quanto da questi temuto per la sua immaginata pericolosità. La credenza nella presenza di serpenti si lega alla loro duplice capacità di vivere in un sottosuolo sempre denso di misteri e di riemergere rapidamente in superficie, così come del resto quegli stessi tesori alla cui protezione essi sono demandati. In altri casi ancora, sono i gatti, specie se di colore nero, a proteggere i tesori dalle mire umane. D’altronde, il gatto nero è sovente accostato all’oscurità delle tenebre e, dunque, in possesso di un alone di mistero ancora maggiore: basti pensare che nel corso del Medioevo e nel periodo in cui operarono i tribunali dell’Inquisizione, molto spesso i gatti furono processati e condannati al patibolo in quanto accusati di essere streghe tramutatesi in felini per non essere riconosciute. Il già citato territorio della ex Contea di Modica è anche teatro di una delle più celebri leggende legate all’esistenza di un tesoro nascosto; in essa, vi si sente chiaramente l’eco di toni sabbatici al quale va aggiunto quell’alone di mistero e curiosità sempre presente nelle credenze plutoniche. In questo caso, la protagonista della tradizione è una capra, simbolo araldico della nobile famiglia di origini iberiche dei Cabrera. Pare infatti che, ai tempi in cui esercitò il proprio signoraggio sul territorio (XIV-XV secolo), il conte Bernardo Cabrera seppellì una capra tutta d’oro all’interno di una grotta nei pressi di Modica, garantendo la stessa mediante un incantesimo. Ancor oggi si narra che, per venire in possesso di tale tesoro, mai più recuperato, occorra recarsi presso la Grotta di Capra d’oro (a questo punto, è facilmente intuibile l’origine del nome dato al luogo) e compiere un sacrificio rituale. Esso va eseguito la notte di Natale da parte di tre preti che abbiano lo stesso nome di battesimo, siano coetanei tra loro e provengano da tre comuni diversi: in presenza di tali elementi, «al primo canto del gallo», essi dovranno scannare un caprone all’interno della grotta e berne, «ciascuno di loro […] tre gocce di sangue: e allora la capra sorgerà di sotto terra belando» (Guastella 1876: CXII). L’intero territorio siciliano, dunque, rappresenta una fonte inesauribile tanto di suggestioni quanto di contaminazioni tra sacro e profano, così come dimostra il fatto stesso che buona parte delle superstizioni popolari legate alle truvature si svolgano in prossimità di luoghi sacri, in un processo ininterrotto di attribuzione di significati, poteri e cariche simboliche varie. Tutt’oggi, così, numerosi luoghi dell’isola sono riconosciuti come teatro di vicende legate alla presunta presenza di tesori nascosti e di persone che abbiano improvvisamente raggiunto una condizione di benessere economico, si usa laconicamente dire: “scupriu ‘a truvatura”!

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Fonti bibliografiche - E. Amodio, a cura di, ‘A Truvatura. Mappe del tesoro nascosto nella Contea di Modica e dintorni, Sicilia Punto L Edizioni, Ragusa 1987. G. Cocchiara, Sopravvivenze dei sacrifici umani nelle superstizioni italiane dei tesori nascosti, in «Lares», VII, 2, giugno 1936, pp. 112-120. - M. Di Martino, Tesori nascosti da ritrovare indicati e descritti in un antico manoscritti, in «Archivio per lo Studio delle Tradizioni Popolari», XX, III, 1901, pp. 323-339. - M. Di Martino, Tesori nascosti da ritrovare indicati e descritti in un antico manoscritti, in «Archivio per lo Studio delle Tradizioni Popolari», XX, IV, 1901, pp. 541-550. - S. A. Guastella, Canti popolari del circondario di Modica, Lutri & Secagno Figli, Modica 1876. - S. Salomone-Marino, Costumi ed usanze dei contadini di Sicilia, Sandron, Palermo 1897.