Ottobre 2014

Il sangue DEL SILENZIO

Il sangue è vita e la vita vera è indicibile


Sara Sigona

Il silenzio ha sempre fatto parte di me, della mia vita. Nelle forme più poetiche, animava la girandola della mia immaginazione di bambina. Da piccola dipingevo, scrivevo poesie, manipolavo la creta: era il silenzio, nella grande casa dei miei genitori, a nutrire quell’ispirazione, quel quid che sentivo avanzare inaspettatamente dal profondo. Questione di un attimo perché si unissero mani, cuore e mente. Oggi dietro il mirino della macchina fotografica, talvolta con il fiato sospeso poco prima del clic, sento solo il cuore sussultare terso e leggiadro come un battito d’ali alla vista della bellezza racchiusa in un frame. E tutto diventa vibrante intuizione e appassionata azione. Nelle forme meno poetiche il silenzio è manifesta sospensione, doloroso distacco, ancestrale paura, assennata necessità. Ho imparato a scuola da Wittgenstein che “delle cose di cui non si può parlare, si deve tacere”. Personalmente aggiungerei “delle cose di cui non si può più parlare”. Difatti è prerogativa degli umani mettere sempre tante parole nella vita, poca vita nelle parole. Così quando esse avranno rappresentato tutti i mondi possibili, pur tuttavia esiliandoli nell’universo dell’impossibile da agire, allora è meglio gelare ogni lemma. Raccogliersi in silenzio. Per converso, attorno a noi stride la quotidianità del nostro vivere sociale, laddove il silenzio appare come un uscio da non varcare, come uno spazio di disagio da riempire con altro rumore: rimbombi di macchine strepitanti, cori di voci prepotenti, echi di ubique suonerie e, in ogni dove, incessanti sottofondi musicali. Quanto di più vitale esista nella nostra contemporaneità! È quindi comprensibile che di silenzio non se ne parli, perché è l’opposto di questa vitalità reboante, è stasi, ghiaccio, morte; ma anche nulla, assenza, qualcosa che non esiste. Non ho mai condiviso quest’accezione, anche se non sono mancati momenti in cui il rumore di fondo nella mia vita non mi permetteva né di sentire la mia voce interiore né di ascoltare la voce di chi mi era vicino. La scorsa estate visitando in lungo e in largo il Giappone, mi sorpresi del suono cangiante dei semafori, nel corso della giornata. Al mattino presto segnalavano ai pedoni il libero passaggio grazie a un melodioso cinguettio di uccelli. Non credevo alle mie orecchie! Soprattutto pensando al frastuono infernale di certi nostri semafori. Quel cinguettio rimetteva al mondo perché da una metropoli affollatissima arrivava un messaggio di rispetto verso la persona, a cui sembrava naturale poi godere di quel silenzio mattutino di cui altrimenti non si sarebbe accorto. Al mio ritorno dovetti leggere quel che ho sempre pensato del silenzio in dei libriccini scoperti sullo scaffale di una libreria che, qui nella mia città, odora di mare. M’incuriosì leggere titoli come I sensi del silenzio o Forme del tacere… ma ancor più che fosse stata fondata in Italia un’Accademia del Silenzio che editava un’intera collana su questo tema. Francesca Rigotti in Metafore del Silenzio dice che problema cruciale è cosa sia il silenzio. Già i pensatori antichi prima di Aristotele non riuscivano a immaginare i fenomeni altro che come sostanze. Il rappresentare il silenzio come sostanzialità si ritrova fino ai nostri tempi. È del 1948 il libro di Max Picard che definisce il tacere come sostanza: “Il singolo che parla non è solo: di fronte a lui c’è il silenzio”. Da ciò se ne deduce che il silenzio è essenza, realtà non visibile che paradossalmente è presenza. È proprio questa presenza che, se accolta, ci interpella disvelandoci, oltre le maschere, le crude nudità perché possiamo diventare sempre più umani. “Solo il cuore può piangere per ciò che non ha mai visto, solo il cuore ha nostalgia di qualcosa pur non sapendo se giungerà mai. È un pianto per la ragione finalmente screditata dal suo continuo imperio” scrive Marìa Zambrano in Dell’Aurora. Una sorta di camera chiara in cui l’immagine appare grezza, autentica per ciò che è. È il momento per sentirsi e quindi sentire l’altro, pur nella distanza, e avviare un dialogo più profondo senza oboli di parole. È così che il silenzio diviene fonte di parole nuove, mai dette, possibilmente più feconde, più autentiche. In questo senso il silenzio ha un suo sangue che ossigena, ripulisce perché la nostra esistenza si ripresenti nella sua purezza e nella sua pienezza. Il sangue è vita e la vita vera è indicibile dolore e inaspettata e spesso ricercata felicità.