Aprile 2015

Maruzza mUSUMECI

Storia del contadino e della sirena che gli insegnò a nuotare


Gianni Failla

Maruzza Musumeci è un romanzo pubblicato nel 2007 in cui Andrea Camilleri racconta della sirena che sposò un contadino; è il primo di una trilogia, detta della Metamorfosi, che per l'ambientazione geografica e temporale - la Sicilia fra inizio novecento e seconda guerra mondiale - si inserisce nel filone storico-civile dello scrittore. Queste tre storie si smarcano dalla consueta narrazione di Camilleri per il tratto decisamente fantastico. Di solito, a parte rare eccezioni come Il re di Girgenti, la letteratura dell'autore è fortemente radicata nell'universo del verosimile. La Trilogia esplora invece i mondi della favola e del mito, con una certa propensione per l'immaginario di tradizione siciliana. Come annunciato dal nome, le storie girano intorno al motivo della metamorfosi, intesa come fisica e psicologica trasformazione del personaggio femminile di turno, che in ognuno dei tre romanzi assume forme diverse: donna-pesce per Maruzza Musumeci, donna-albero nel successivo Il casellante, e donna-capra per l'ultimo del ciclo, Il sonaglio. Le 'creature' ibride di Camilleri hanno radici nella cultura classica, e in particolare in opere come Le metamorfosi di Ovidio, l'Odissea di Omero o il De rerum natura di Lucrezio, alle quali la Trilogia esplicitamente si riporta. Così per le origini del mito della sirena si deve risalire alla tradizione della Grecia antica. Le successive elaborazioni letterarie del tema, da Omero in poi, sono innumerevoli, tanto che dovendo scegliere, ci limitiamo a citare qui qualche esempio riconducibile alla recente produzione letteraria italiana, come La sirena di Gabriele D'Annunzio, Ligheia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La verita sul caso Motta di Mario Soldati, ne La pelle di Curzio Malaparte il capitolo del Pranzo del Generale Cork in cui la prima portata di un orribile banchetto è costituita dalla sirena bambina, o ancora le 'femminote' dell'Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo. La cultura popolare ha rielaborato il tema a suo modo. Un esempio in ambito siciliano è il leggendario Cola Pesce. A questo cunto se ne accompagnano altri, come quelli di origine contadina che hanno costituito la principale fonte d'ispirazione per il romanzo di Maruzza. L'autore stesso spiega, nella nota in coda al romanzo, come il nucleo principale della sua storia sia riconducibile alla tradizione rurale: Mi sono voluto raccontare una favola. Perché in parte, la storia del viddrano che si marito con una sirena me l'aveva già narrata, quand'ero bambino, Minicu, il più fantasioso dei contadini che travagliavano nella terra di mio nonno. (Sellerio, 2007, p. 151) 1. Il contadino Il romanzo del contadino Gnazio e della sirena Maruzza inizia con il racconto dell'emigrazione di Gnazio nella 'Merica'. Sin da queste prime pagine il narratore espone il limite a cui dovrà fare fronte il protagonista: Per tutto il viaggio, sinni stetti dintra alla stiva del papore, ‘n mezzo al feto di l’altri migranti che c’era genti che si cacava e si pisciava nei cazuna e genti che vommitava di continuo, ma non acchianò mai supra il ponte, il mari gli faciva tanto scanto a sintirlo torno torno a lui, che aviva sempre il trimolizzo come per la fevri terzana. (p. 15) La fobia di Gnazio, evocata più volte in questa parte della narrazione, è funzionale alla struttura del racconto di Camilleri, in quanto rinforza la contrapposizione terra-mare che come vedremo pervade il romanzo; essa rimanda inoltre alla riflessione sul rapporto fra l'uomo e il mare che attraversa la letteratura isolana. Ne parla ad esempio Leonardo Sciascia ne La corda pazza,in un articolo su Sicilia e sicilitudine: Parlando di Verga, Pirandello dirà: “I siciliani, quasi tutti, hanno un'istintiva paura della vita, per cui si chiudono in sé, appartati, contenti del poco, purché dia loro sicurezza. Avvertono con diffidenza il contrasto tra il loro animo chiuso e la natura intorno aperta, chiara di sole, e più si chiudono in sé, perché di questo aperto, che da ogni parte è il mare che li isola, cioè che li taglia fuori e li fa soli, diffidano, e ognuno è e si fa isola da sé, e da sé si gode – ma appena, se l'ha – la sua poca gioia; da sé, taciturno, senza cercare confronti, si soffre il suo dolore, spesso disperato. Ma ci sono anche quelli che evadono...”. (Einaudi, 1970, p. 13) Sciascia approfondisce ulteriormente il concetto, scavando nella storia dell'isola: E però bisogna osservare che questa dualità contrastante effettualmente si pone con più complesse motivazioni: non dal mare che li isola, che li taglia fuori e li fa soli i siciliani diffidano, ma piuttosto di quel mare che ha portato alle loro spiagge i cavalieri berberi e normanni, i militi lombardi, gli esosi baroni di Carlo D'Angiò, gli avventurieri che venivano dalla “avara povertà di Catalogna”, l'armata di Carlo V e quella di Luigi XIV, gli austriaci, i garibaldini, i piemontesi, le truppe di Patton e di Montgomery; e per secoli continuo flagello, i pirati algerini che piombavano a predare i beni e le persone. La paura “storica” è diventata dunque paura “esistenziale”; e si manifesta con una tendenza all'isolamento, alla separazione, degli individui, dei gruppi, delle comunità – e dell'intera regione. (Ibidem) Quali che siano le cause di questa siciliana diffidenza verso il mare, Camilleri, che lungamente ha lavorato sulle opere di Pirandello e di Sciascia, sembra riprendere la riflessione letteraria per farne un tratto essenziale del suo personaggio. I timori di Gnazio ci ricordano infine un passaggio de L'incominciamento di Giuseppe Bonaviri, nel quale si introduce il viaggio per l'America intrapreso da altri come lui: Con l'emigrazione, sin dalla fine del secolo passato, il siciliano contadino, e lo stesso artigiano, varcata l'imboccatura di Gibilterra, si trovò di fronte allo sconfinato e imperscrutabile oceano. (Sellerio, 1983, p. 11) La seconda fase della storia prende inizio con il ritorno di Gnazio alla terra natía. Qui il limite si concretizza in un luogo preciso della topografia camilleriana, contrada Ninfa, “ne terra ne mari” (p. 31): Appena vitti indove era situato il tirreno, ci morse il cori. Contrata Ninfa era ‘na speci di punta di terra che s’infilava nel mari come la prua di un papore e le deci sarme in vendita erano propio quella punta, sicché il mari stava torno torno per tri latate, solo una latata confinava con altra terra. Anzi, con una trazzera. (p.21) L'intera struttura del romanzo è impostata su dualismi che si scontrano e si sposano: terra-mare, maschile-femminile, reale-immaginario. Uno dei poli di questo continuo gioco a due trova sintesi nel personaggio Gnazio, di cui abbiamo accennato alcuni tratti: protagonista maschile, razionale, ben ancorato al reale e alla terra tanto da farne un mestiere. Lo scrittore semina, pagina dopo pagina, elementi che rafforzano il legame di Gnazio con la terra e con il mondo rurale. Ne sono un esempio i passaggi descrittivi delle tecniche agricole, l'enunciazione di proverbi contadini o il ricorso al lavoro di Serafino Amabile Guastella. Per approfondire la cultura rurale Camilleri prende spunto dal testo più conosciuto dell'autore modicano, Le parità e le storie morali dei nostri villani (Ragusa, Piccitto e Antoci, 1884, poi Rizzoli, 1976). Come ebbe modo di confidare a Gianni Bonina in Tutto Camilleri (Sellerio, 2012), egli vi aveva già fatto ricorso per “la stesura del romanzo [Il re di Girgenti]”. In Maruzza Musumeci, il richiamo all'opera di Guastella è esplicito e si concretizza nella citazione integrale di alcune parità. Ecco ad esempio come viene trattata da Camilleri la leggenda della “vecchia dell’erbe”: Un jorno, tutte le piante e tutti i sciuri dell’universo criato, s’apprisintarono al Signuruzzu e ci dissiro accussì: “Signuruzzu, a noi voi ci aviti dato il potiri di guarire tutte le malatie dell’omo. Sulo che l’omini non acconoscino ‘sto nostro potiri. Pirchi non glielo rivilate? Accussì, mischini, soffrino meno supra alla terra e non morino cchiù”. Il Signuruzzu allura disse: “Se l’omini non morino cchiù supra alla terra, allura in poco tempo addiventano tanti e tanti che per aviri spazio sunno obbligati ad ammazzarisi tra di loro. E a mia non mi piaci che s’ammazzano”. Allura le piante e i sciuri dissiro: “Ma non ponno moriri senza la sofferenzia della malatia?”. E il Signuruzzu: “Facemo accussì. Io rivelerò a ‘na poco di vicchiareddre come ponno curare l’omini con le piante. L’omini che si rivolgino a chiste vicchiareddre guariranno dalle malatie, l’altri s’arrangiano”. (p. 70) Di seguito, sullo stesso tema, la parità di Guastella: Una volta adunque tutte le piante e l'erbe, che ci sono nel mondo si lamentarono col Signore, e gli dissero: Signore Iddio, Voi a ciascuna di noi avete data una speciale virtù, e non pertanto è rimasta, e rimarrà sconosciuta. Ci duole il cuore a veder morire tanta povera gente, quando con le virtù che ci avete dato, ci sarebbe agevol cosa salvarle. Perché, o Signore Iddio, volete che gli uomini ci conoscano per le foglie, anziché per i nostri pregi? E il Signore rispose: sapete perché? Perché gli uomini guarirebber tutti, e si mangerebber fra loro. Ma non voglio lasciarvi scontente del tutto, e di tanto in tanto darò alla donna il dono di scoprire la virtù di qualcuna di voi: ma perché non ne invanisca avrà la disgrazia di non esser creduta. (p. 79) Nel romanzo di Gnazio è inoltre presente una variante del mito del diluvio universale: Quannu che lu signuri Dio si stuffò di l'omini che si facivano sempri la guerra e si scannavano in continuazione, addecise di scancillarla dalla facci di la terra facenno viniri lo sdilluvio universali. E di chista 'ntinzioni ne parlò con Noè che era l'unico omo onesto e bono che c'era. Ma Noè gli fici notari che, 'nzemmula all'omini, sarebbero macari morte tutte le vestie che non ci avivano colpa per lo sdegno del Signuri. Allura lu Signuri gli disse di flabbicare una varca di ligno, chiamata arca, e di faricci trasire dintra una coppia, mascolo e fimmina, di tutti gli armali. Accussì l'arca avrebbe galleggiato e doppo, passato lo sdilluvio, l'armali avrebbero potuto figliare. Noè arrinisci a farisi dare il pirmisso di portarisi nell'arca macari a so mugliere e ai so tre figli e po' spio al signuri come avrebbe potuto avvertire tutti l'armali del munno. Lu Signuri disse che ci avrebbe pinsato lui. 'Nzumma, a farla brevi, quannu tutti l'armali trasero, principiò lo sdilluvio. Doppo tri jorni, una notti che tutti dormivano, Noè sintì una vuciuzza vicina all'oricchio: “Patriarca Noè! Patriarca Noè!”. “Cu è?”. “Siamo du pidocchi, marito e mugliere”. Pidocchi? E che erano? Mai Noè li aviva sintito nominare. “E indove state che non vi vedo?”. “Supra la to testa, in mezzo a li to capilli”. “E che ci fate?”. “Patriarca, lu Signuri Dio si scordò d'avvertiri macari a nui dello sdilluvio. Ma nui l'abbiamo saputo l'istisso e ci siamo arrampicati supra di tia”. “E di che campate, pidocchi?”. “Campiamo della lordia che c'è nella testa dell'omo”. “Qua potiti morire di fami! Io mi lavo i capilli ogni giorno!”. “E no, Patriarca! Tu ti pigliasti l'impegno di sarbari tutti l'armali! Nui abbiamo diritto a nutricarci come le altre vestie! Epperciò tu ora fino a quanno che dura lo sdilluvio, non ti lavi cchiu!”. E lo sapiti, gente mia, pirchi lu signuri Dio si era scordato d'avvirtiri i pidocchi? Pirchi i pidocchi sunno come i braccianti stascionali, che macari Dio si scorda che esistono. (pp. 10-12) Ed ecco come la parità di Guastella affrontava lo stesso tema: Quando ci fu il diluvio universale Dio comandò a Noè di mettere nell'arca tutte le specie degli animali, maschio e femmina per ogni specie, e tutti quanti i cibi appropriati al loro diverso modo di vivere. Ora il primo giorno che Dio fe' la chiama di tutte le bestie, una per una, per somministrare il cibo, udì una vocina sottile; come se venisse articolata da un fil di capello: - E a me, Patriarca santo perché non dai nulla? Non son forse anch'io creaturina di Dio? - Chi diavolo sei? Domandò il Patriarca. - Sono il pidocchio. Tu dimenticasti di salvarmi; e io e la mia compagna cercammo trarci in salvo, arrampicandoci sulla tua persona. - E ora dove sei? - Sono su la tua testa. - Ti assicuro, o pidocchio, che non avevo inteso a parlare di te. E, dimmi un po', di che vivi? - Vivo di sudiciume. - In tal caso, pidocchio mio, mettiti il cuore in pace, perché l'arca e novissima, e di sudiciume non ce n'è quanto potrebbe volar via con un soffio. Ma io feci il danno, e io farò la penitenza, e giacché ti salvasti sulla mia testa, restaci alla buon'ora, e mangia di quel che trovi. E d'allora in poi il pidocchio visse e moltiplicò sulle teste degli uomini. Or bene, noi villani, mi soggiungea il narratore, siamo diventati come il pidocchio. Il signore si scordò di noi, e noi dovremmo vivere a spese dei ricchi. E se i ricchi hanno il pugno chiuso, tanto peggio per loro!... per aprirglielo il solo rimedio e l'astuzia. (p. 112) Le somiglianza fra i brani è tale che risulta evidente l'opera di adattamento delle due parità allo stile narrativo di Camilleri e al codice linguistico di Maruzza. 2. La sirena Al carattere terragno, maschile e concreto di Gnazio, il racconto accosta quello marino, femminile e fantastico personificato in Maruzza. Le figure femminili non primeggiano quasi mai nei racconti dello scrittore siciliano, che di solito assegna alle donne ruoli secondari. Rari e recentissimi (Il tuttomio, La rivoluzione della luna) sono gli esempi di donne protagoniste. Maruzza non si discosta da questa consuetudine: nel romanzo intitolato alla sirena, il punto di vista della narrazione non è il suo ma quello di Gnazio. Occorre però precisare che rispetto alla norma del romanzo camilleriano, nonostante l'ottica maschile da cui si disvela la storia, quila donna ha uno spazio maggiore. L'autore le affida il momento della metamorfosi, dato che, come egli afferma nella già citata intervista a Bonina, le donne “cambiano assai più facilmente degli uomini [e questi] hanno minor fantasia”. Ecco come viene descritto il primo incontro fra Gnazio e Maruzza: E po' vitti spuntare le du fimmine che caminavano e parlavano fitto. La gna Pina col solito sacco supra le spalle e Maruzza... Matre santissima del Carminu! Santa Lucia biniditta! San Calorio miracolusu! Era cchiù beddra che in fotografia! Era cchiù beddra assà! Assà assà! E po' com'era che aviva passato la trentina e inveci di pirsona pariva 'na picciotteddra di manco vint'anni? Che magaria aviva fatto? E 'sta gran maraviglia di Dio potiva addivintari so mugliere? Gli vinni un groppo al cannarozzo, accapì che si stava mittenno a chiangiri. Ma pirchì Maruzza non lo taliava? 'Na vota sula votò la testa verso di lui, ma parse che taliava lo stipiti della porta del sarto. Appena le du fimmine arrivarono alla stissa altizza so, si cavo la coppola e fici un mezzo 'nchino. “Buongiorno” arrispunnì la gna Pina. Maruzza inveci, senza mai taliarlo, calò tanticchia la testa. (p. 49) La creatura marina si presenta all'uomo sotto mentite spoglie, in forma umana. Una conseguenza della particolare variante che, fra le storie di sirene, Camilleri ha voluto sviluppare. La vicenda di Maruzza infatti differisce da altre simili in quanto rappresenta un esempio di convivenza duratura fra la specie umana e quella marina. Nella versione di Camilleri la relazione fra uomo e sirena si sviluppa in un contesto di parziale umanizzazione di questa. In coerenza con la tradizione camilleriana, Maruzza Musumeci incarna una sirena integralmente inserita nella cultura siciliana del primo novecento, che obbedisce, come conferma la sua condotta, al codice di comportamento che la società le impone: l'unione fra i due non può che concretizzarsi nel sacro vincolo del matrimonio. Il carattere della sirena è tuttavia ben più complesso. La struttura duale che emerge in filigrana lungo il romanzo si riflette nella figura di Maruzza, che sintetizza in sé la donna del popolo e la creatura soprannaturale, il reale e l'immaginario. Il profilo della donna- sirena di Camilleri si compone inoltre di un'ulteriore sfaccettatura: ancora una dualità che al comportamento pubblico misurato e rigidamente codificato, vede affiancare un tratto intimo carnale e disinibito. Una caratterizzazione del personaggio femminile a cui l'autore ha già fatto ricorso in taluni romanzi. La sensualità dei personaggi di Camilleri riposa essenzialmente su due componenti. Uno di questi è per l'appunto il sesso, che secondo Nino Borsellino è legato ai personaggi femminili. Nella prefazione alle Storie di Montalbano egli infatti afferma: “Camilleri allestisce con cura il teatrino delle «cose vastasi», dei piaceri ritenuti indecenti, assegnando spesso alle donne siciliane il privilegio dell'iniziativa sessuale.” La gastronomia è l'altro elemento narrativo che concorre alla carnalità dei tipi camilleriani. Questi due tratti, sessuale e culinario, sembrano legati tra loro da un rapporto di concorrenza. Per spiegare questo concetto prendiamo ad esempio i romanzi polizieschi, la parte più popolare della produzione letteraria di Camilleri. Le storie di Montalbano sono caratterizzate dall'amore del Commissario per la buona tavola. La narrazione è infarcita di ricette di cucina, accompagnate spesso da voluttuose descrizioni di cibi e bevande (tanto da generare una serie di pubblicazioni dedicate per l'appunto alla cucina di Montalbano). In questo filone primeggia la sensualità gastronomica, a discapito però dell'aspetto sessuale, che in questi romanzi è poco accentuato. Pur essendo il Commissario attorniato da figure femminili che con una certa costanza cercano di ammaliarlo; pur avendo spesso i delitti su cui egli indaga, uno sfondo sessuale; la narrazione indugia di rado sull'atto. Fra tentativi di seduzione e complicate storie di corna, sulla serie poliziesca aleggia in permanenza un'atmosfera erotica, ciononostante sono rare le scene in cui lo scrittore descrive la congiunzione carnale. La cosa potrebbe sembrare di scarsa rilevanza e potremmo accontentarci di registrare Camilleri fra quegli scrittori che preferiscono risolvere le scene più scabrose con una dissolvenza in nero. Tuttavia quest'osservazione assume più rilievo se si mette a confronto il ciclo di Montalbano con il filone storico. In quest'ultimo, non manca mai, come dice Marcello Sorgi in La testa ci fa dire, la narrazione “ironica e divertita” di scene di sesso che l'autore utilizza secondo necessita, “come un fatto ritmico”. Questo tipo di situazione rappresenta spesso una sorta di sfida che l'autore lancia alla sua capacita di raccontare. Camilleri si è trovato così a descrivere, con metafore ironiche o descrizioni crude e dirette, rapporti sessuali di tutti i tipi, eterosessuali, omosessuali, scene di pedofilia, di violenza o rapporti con animali. E' importante inoltre sottolineare che nei romanzi storici l'aspetto gastronomico assume un rilievo infimo ed è talora totalmente inesistente. Possiamo ipotizzare allora che questo differente trattamento della materia sessuale da un tipo di romanzo all'altro, sia da imputare alle diverse tipologie di lettore a cui sono destinati i testi. Lo scrittore, data la vasta diffusione delle storie di Montalbano, si dimostrerebbe cauto nel trattare un argomento che potrebbe urtare talune sensibilità, e si sentirebbe più libero di sperimentarenei romanzi storico- civili, destinati ad un pubblico più accorto. Inoltre, poiché l'autore utilizza questi due elementi, gastronomico e sessuale, per insaporire le storie e rendere i personaggi più vivi e reali, e dato il rapporto inversamente proporzionale per cui, salvo rare eccezioni, la presenza dell'elemento gastronomico attenua quella sessuale e viceversa: si potrebbe supporre che egli, per riprendere la metafora gastronomica, prepari con attenzione i suoi piatti, dosando sapientemente gli ingredienti, curando di non aggredire il palato del lettore con una sovrabbondanza di stimoli sensoriali. Maruzza Musumecida questo punto di vista aderisce al modello degli 'storici' camilleriani. L'elemento gastronomico è poco rilevante, mentre quello sessuale rappresenta una nuova sfida: l'autore è chiamato a raccontare il sesso fra l'uomo e la sirena. Le sirene sono in genere caratterizzate da una sensualità capace di attrarre partnerumani, anzi, proprio su questo potere, spesso letale per gli uomini, si basa la loro leggenda. In letteratura, o quantomeno nelle opere italiane che abbiamo elencato poc'anzi, il loro erotismo è tuttavia solo accennato e la narrazione glissa puntualmente sul rapporto sessuale. Nella storia di Maruzza invece, lo scrittore traspone narrativamente la scena di sesso. Per la resa dell'unione fra l'uomo e la sirena, Camilleri accentua il carattere sensualmente popolano di questa, attingendo alle figure femminili delle sue narrazioni storiche, nonché ai tipi umani coloriti e carnali della letteratura di Francesco Lanza. Di quest'ultimo riportiamo uno dei Mimi siciliani, quello della Chiaramontana: La chiaramontana cercava il marito di giusta misura; non piacendole che ogni volta restasse largo o mancasse. Perciò, ognuno che le si presentava, voleva prima provare se l'avesse o no quant'era bisogno. Ce li passò tutti, e nessuno le andava mai bene; sicché resto zitella. (Sellerio, 1971, p. 110) Vediamo adesso come Camilleri riporta sulla pagina il primo rapporto fra Gnazio e Maruzza: Allura Maruzza fici ‘na cosa che lui non s’aspittava. Gli lassò la mano che gli aviva sempri tinuta e si calò ‘nfilanno la testa dintra alla vucca del forno. Parlò e la so voci gli arrivò assufficata, come se gli stava parlanno ‘n cunfidenza, all’oricchio. “Ti voglio provari”. “Eh?” fici Gnazio. “Ti voglio provari” ripitì Maruzza. E siccome Gnazio nun si cataminava, Maruzza, senza spostarisi dalla so posizioni, portò le mano narrè e si sollevò la gonna fino a supra i scianchi. Gnazio ebbe ‘na virtigini. Sutta, Maruzza era completamente nuda. Di colpo, parse che dintra al cammarino era spuntata ‘na luna tunna tunna, bianca, liscia, lucenti. Trimanno, Gnazio si calò i cazuna e accomenzò a lento a trasire dintra a lei. Ma come faciva a diri che non aviva la natura? Ci l’aviva, eccome se ci l’aviva, cavuda, stritta stritta, umita. E quanno fu tutto trasuto, Maruzza disse: “Resta accussì”. Si fermò, muzzicannosi la lingua pirchì non ce la faciva a non continuari. Po’, doppo ‘n’eternita, Maruzza fici: “Nesci. Mi stai bene”. (pp. 92-93) Abbiamo visto come lo scrittore avesse adattato due delle parità di Guastella al suo romanzo; allo stesso modo qui prende spunto dalla malizia erotica di Lanza per rappresentare la scena del rapporto sessuale fra Gnazio e Maruzza. Anche in questo caso l'omaggio letterario è adeguato al linguaggio camilleriano; l'episodio inoltre descrive, nello stile esplicito e divertito del nostro autore, ciò a cui Lanza semplicemente allude. Tanta audacia di costumi è, come sappiamo, destinata a risolversi nel matrimonio fra Gnazio e Maruzza. Il mistico rito nuziale occupa la parte centrale del romanzo e sancisce la ricomposizione degli opposti: l'uomo e la sirena, la terra e il mare, il reale e il fantastico. Dalle nozze in poi i dubbi e le paure di Gnazio saranno sostituiti da un sentimento di armonia con il creato; verso un finale simbolico e moraleggiante in cui nell'incontro fra la realtà della guerra e l'universo del mito, quest'ultimo riesce a trionfare. Un finale del quale naturalmente non parleremo.