2023

A scuola ero COME LA GUINEA

Quando ti accorgi che il problema non è in quel che vedi ma è nel modo di guardare è uno shock ma la testa si apre


Filippo Camerini

A scuola ero come la Guinea Bissau. A scuola, ero una pera. Mica che non studiavo; avrei voluto imparare e passavo i pomeriggi sui libri ma ero disorientato, mi distraevo, non riuscivo a individuare le questioni importanti. Neppure posso incolparne le scuole che sono state sempre le migliori scuole pubbliche di Roma (grazie papà, grazie mamma). Di questa continua mortificazione non riuscivo a farmene una ragione e stavo scomodo nel ruolo dello scemotto: avevo prestazioni sportive a buon livello, passione per le scienze naturali, per il disegno, per la fotografia, gli amici giù in strada mi consideravano un saggio ed entravo in ogni confidenza personale o questione di gruppo. Però il rendimento a scuola era un disastro. Come tutti i “somari”, provavo a consolarmi con la teoria secondo la quale ognuno ha intelligenze diverse e che solo bisogna trovare sistemi per mettere a frutto i propri talenti. Mi crucciavo che la scuola non fosse uno di questi.
Della scuola, rimangono però alcuni concetti per i quali, seppur non interamente compresi, arrivavo a percepire la portata. Uno di questi si è fatto più nitido solo di recente: la cultura intesa in senso antropologico. Un principio facile da capire e pure da ripetere in interrogazione: l’abitante della foresta pur non conoscendo i logaritmi, non era da considerarsi ignorante perché aveva sviluppato e acquisito conoscenze idonee al suo contesto e alle sue necessità. Nonostante l’odore di ipocrisia confettata, ho conservato questo seme prezioso in un cassetto mentale. Dopo avere studiato agraria all’università (sorprendentemente, con successo) e aver lavorato in diverse posizioni e paesi, seguendo mia moglie, mi sono ritrovato in Guinea Bissau, in Africa Occidentale, con un incarico tecnico in un progetto di cooperazione nel settore del riso di mangrovia. La Guinea Bissau è un paese classificato come meno sviluppato (Least Developed). Sono qui con i miei semi preziosi e quello del concetto di cultura in senso antropologico credo qui abbia trovato un terreno fertile per germogliare.
Nonostante l’esistenza di una miriade di indicatori, le Nazioni Unite si prendono la briga di raggruppare tutti i Paesi del mondo ogni 3 anni, secondo il GNI (Gross National Income), la vulnerabilità economica e la debolezza delle risorse umane. Ci sono 3 gruppi possibili: Developed Countries, Developing Countries e Least Developed Countries (e tra queste c’è la Guinea Bissau, dove vivo ora).[1] Alla Banca Mondiale questa classificazione è parsa troppo semplice e ha diviso il gruppo intermedio in 2 così da avere 4 classi: i) Paesi a basso reddito (i LDC), ii) Paesi a reddito medio-basso, iii) Paesi a reddito medio-alto, iiii) Paesi ad alto reddito (i Developed Countries di prima). Tra i tanti indicatori di sviluppo è sempre il GNI pro-capite a guidare questo tipo di categorizzazioni e bene o male lo sviluppo è concepito come un itinerario nel quale un LDC deve svilupparsi in Developing Country e poi in Developed Country, un processo lineare la cui meta massima è il raggiungimento degli standard occidentali. Noi ci presentiamo come l’obbiettivo da raggiungere. Il fatto che un paese come la Guinea Bissau possa essere riuscito a liberarsi dal giogo coloniale, a ricostruire un paese, conservare foreste e mari, che non ci si spari nelle scuole pare non conti molto in quanto tutto ciò non ha un impatto sul reddito netto. Certo, ci sono indicatori che misurano tutto ma, alla fine, misuriamo lo sviluppo dei popoli in funzione di quanto distano da noi (soprattutto in termini di reddito lordo pro-capite). Io, ai tempi della scuola, ero un po’ come la Guinea Bissau.
La trappola è nella linearità: si riconosce che esistano tante intelligenze, ma poi a scuola, si contano gli errori e si misura la posizione su un asse rispetto alla soglia della sufficienza. Così si accetta che tutte le culture abbiano pari dignità e valore ma poi si allineano i paesi in funzione di quanto reddito netto le loro economie sono capaci di generare. Lo sviluppo (personale o sociale che sia) non dovrebbe essere definito da un asse cartesiano ma essere più descrittivo e offrire diverse possibili direttrici a partire da un punto: una stella. Poiché i punti di partenza sono diversi e tanti, il mondo dello sviluppo dovrebbe essere una sorta di costellazione.
Quando ti accorgi che il problema non è in quel che vedi ma è nel modo di guardare è uno shock ma la testa si apre. Quintino è un collega, ha vinto una borsa di studio e si trasferito negli Stati Uniti. Sta studiando con interesse la fertilizzazione ma mi dice che gli Stati Uniti sono davvero un paese molto povero, che ci sono mendicanti e persone che non hanno casa e vivono per la strada. Spiega che in Guinea Bissau nessuno rimane a dormire per strada, nessuno rimane senza mangiare se il tuo vicino ha cibo; negli Stati Uniti ha visto tanta povertà. Non mi sono sentito di tirare in ballo il Gross National Income.
Però, non possiamo essere noi a creare modelli per altri. Teorici di forme alternative di sviluppo ci sono stati ma ovviamente non potevano derivare da situazioni politico-economiche con la loro linea già tracciata. Teorie per uno sviluppo diverso, personalizzato, indipendente, non possono che germogliare in un paese del terzo mondo. La Guinea Bissau è la terra di uno dei più importanti ideologi e politici dell'intero processo di decolonizzazione africano e visionario di uno sviluppo diverso: Amilcar Cabral.[2] Questo agronomo (sì, l’agronomo sa sorprendere) riuscì a fare insorgere assieme tutte le colonie portoghesi, creando una guerra di resistenza coloniale[3] che insinuata in una frattura nel regime impostato da Salazar,[4] ottenne il riconoscimento dell’indipendenza per la Guinea Bissau da parte delle Nazioni Unite nel 1973 e poi da parte del Portogallo nel 1974. Sostenuto nelle sue battaglie da Cuba (Castro lo adorava) e dall’Unione Sovietica, fu assassinato nel 1973 per mano di un collega di partito. In realtà, si crede che l’omicidio sia stato eseguito per ordine della CIA che temeva che la Guinea Bissau rientrasse nel blocco filo-sovietico e soprattutto che questo filosofo con tanto seguito internazionale potesse mettere in crisi il sistema internazionale. La Guinea-Bissau è nel caos da quel 20 gennaio. Un collega mi dice che sono tempi difficili per la gioventù africana. All’inizio non capisco ma poi ci ripenso: immagino un giovanotto pieno di energia al quale youtube propone una realtà di ville, piscine, ragazze, automobili, soldi, occhiali firmati, vestiti sgargianti e scarpe alla moda. Alla fine del video, si ritrova seduto su un mattone di argilla, in una strada polverosa con sandali scompagnati. Un pianeta, disegnato in un modo ideale e distorto, al quale lui non avrà mai accesso. La nostra “linea” è molto aggressiva. Noi vorremmo esportare il nostro benessere, il nostro stile di vita, il nostro modo di pensare (con diritti umani, giustizia sociale, democrazia, pari opportunità) ma la nostra è una festa esclusiva e gli inviti sono ben numerati. Un po’ di benessere lo vedi arrivare: arrivano le macchine che in Europa non possono più circolare (magari mi tolgo lo sfizio e mi compro una Jaguar al prezzo di un motorino), arrivano i vestiti invenduti (le magliette della Nike costano meno delle camicie cucite dai sarti locali). Ma benessere per chi? Raila Odinga (candidato alle presidenziali in Kenya) ha inoltrato la proposta presso gli Stati membri della Comunità dell'Africa Orientale (Kenya, Uganda, Tanzania, Ruanda e Burundi) di eliminare gradualmente il commercio di abiti usati entro il 2019 per dare impulso all'industria tessile locale. Il Ruanda fu il primo paese ad intervenire nel 2016, aumentando le tariffe sugli abiti usati importati, con l'intenzione di eliminare gradualmente tali importazioni. Gli Stati Uniti, all'epoca i principali venditori di abiti usati verso il Ruanda, hanno reagito ponendo fine all’esenzione dei dazi delle importazioni dal Ruanda. Insomma non è durata molto. Si presuppone che in Africa arriveranno sempre maggiori quantità (l’Unione Europeo ha vietato di distruggere l’abbigliamento invenduto) e minore qualità ("fast fashion" dall'Asia e residui dopo che gli stock sono stati proposti sui mercati del Sud America). Sempre più scarti inutilizzabili, spazzatura che, dopo avere viaggiato per mezzo mondo, finisce nelle discariche. Qui in Guinea Bissau, le piante di cotone crescono spontanee ai bordi delle strade. La democrazia è per noi occidentali un valore, un principio da esportare. Un concetto sul quale nessuno di noi può avere dubbi; indiscutibilmente la forma più evoluta e corretta di governo. Ci insegnano a votare da quando siamo piccoli. In molti casi è stata la bandiera dietro la quale avanzano interessi, ingerenze, … una nuova crociata. Eppure in Africa, l’idea che un gruppo vinca il potere e l’autorità di fare quel che vuole mentre un altro gruppo debba sportivamente rinunciare a tutto non è affatto considerata una forma perfetta di governo. L’autorità tradizionale deve riuscire a trovare una situazione giusta, mediata e soprattutto rispettosa per tutti. Il lavoro minorile è un’ingiustizia e una piaga; lo sanno tutti. Io pago dei bambini per fare la cernita di alcuni semi. Più sono piccoli, più sono attenti e veloci. Li pago con un pacco di biscotti e circa 70 centesimi per un lavoro che in 5/6 fanno in 15/20 minuti. È la metà di quanto guadagna una donna vendendo banane per un giorno intero. I bambini devono studiare e giocare. Però qui non è così; almeno non per tutti. Ho conosciuto bambini che rovistano nella spazzatura in cerca di lattine di alluminio da rivendere per la produzione di stoviglie; di tanto in tanto, portano qualche mango all’orfanatrofio dove ci sono bambini che stanno ancora peggio di loro. Se non trovano da sfamarsi e non portano a casa qualche soldo la sera, capace che le buschino pure. Non chiedetegli di sistemare le sagome a stella, quadrato e cuore nelle corrispondenti formine, so che non ce la farebbero; né loro, né i più grandi. Mia moglie dice che non hanno stimoli ma per me anche lei vede lo sviluppo come un percorso e non come una stella. Con loro ho imparato a guidare con un bastoncino un cerchio rimediato da un cerchione o una camera d’aria. Un bambino guineense maneggia il machete con perizia alla stessa età che i miei figli avevano quando quale ho regalato loro un temperino con le punte arrotondate (la mamma gliel’ha nascosto subito). Mi piace pensare che non mettono le figurine nelle cavità giuste per un motivo simile a quello per il quale andavo male a scuola. Se io ero disorientato, mi distraevo, non riuscivo a individuare le questioni importanti, loro sono orientati altrove, sono attenti ad altro e danno importanza ad altre questioni; i compagnucci del ragazzo che fui.
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[1] IMF_advanced_economies_and_UN_least_developed_countries
[2] A Bologna esiste un centro/biblioteca dedicato ad Amilcar Cabral. San Bernardino (326 abitanti) è una frazione di Novellara, comune a 15 km a nord di Reggio Emilia è l’unica città italiana ad avere dedicato una via all’agronomo-politico- soldato-filosofo.
[3] C’è un bel romanzo nel quale la guerra di resistenza affiora: “Les Grands” (I più grandi) di Sylvain Prudhomme.
[4] Capitani d’Aprile (Capitães de Abril; 2001) è un bel film per farsi un’idea sulla rivoluzione dei garofani.